Piovono critiche sulla selezione di Cannes, che tra i grandi esclusi sulla Croisette, al via dal 14 al 25 maggio, mette uno dei più grandi nomi della cinematografia internazionale: Clint Eastwood. Il quale, tra l'altro, stavolta si cimenta con un musical, genere inedito per «Dirty Harry». Eppure, a 83 anni, l'autore di Gran Torino torna a stupire con la commedia musicale Jersey Boys (la vedremo il 18 giugno, distribuita da Warner), adattata per il grande schermo da un successo teatrale di Broadway. Va bene che il regista, attore, produttore e musicista risulta depennato in buona compagnia, poiché nell'albo d'oro dei trombati cannensi figurano Terrence Malick, con Kniht of Cups; Tim Burton, con Big Eyes e Woody Allen con Moonlight, pronti e inspiegabilmente scartati da Thierry Frémaux, direttore del festival. Però è strano che un musical come quello di Clint, pieno di canzoni da juke-box anni Sessanta e di pezzi mitici per un paio di generazioni - da Beggin a Big girls, don't cry, passando per Sherry, Can't take my eyes off you - sia stato bocciato, a favore dei soliti fratelli Dardenne, o dell'abbonato Ken Loach.
Tanto più che quest'anno il genere musicale va forte, come dimostrano Inside Llewyn Davis dei fratelli Cohen, basato sulla vita di un folk singer, o Alabama Monroe (dall'8 maggio) del belga Felix van Groeningen, candidato all'Oscar come miglior film straniero e piccola gemma della musica «bluegrass», un po' fuori dal mondo, ma molto suggestiva.
La musica ha sempre fatto parte della carriera di Clint, spesso autore delle colonne sonore dei suoi film e che torna alla regia, dopo J. Edgar (2012), per narrare il debutto e le imprese d'un gruppo piuttosto influente nel mondo pop dei Sessanta: The Four Seasons. Al di là del biopic Bird, di un episodio della serie The Blues e della sua apparizione nel flop Paint Your Wagon (1969), Eastwood non aveva mai messo mano a un vero e proprio musical, eccezion fatta per il tentativo abortito di girare, con Beyoncé, un remake di A Star is born.
Sfizio che il grande vecchio di Hollywood ora si cava, assemblando nel cast John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza, Michael Lomenda e, soprattutto, Christopher Walken, che con la sua faccia stralunata impersona Angelo «Gyp» DeCarlo, promoter dei «Ragazzi del Jersey». Complice la scrittura di John Logan, penna di Skyfall, il film è centrato sulla storia di Frankie Valli e del suo iconico gruppo rock'n'roll, band tra quelle che ha venduto più dischi di sempre. Materia d'oro, tra le mani del «tenente Callaghan», che rievoca le difficoltà del gruppo, mentre cerca di affermarsi, tra debiti, strane amicizie e il tormentato rapporto di Frankie Valli con la sorella disturbata.
Gli ingredienti per fare la ciambella col buco ci sono: John Lloyd Young, stesso attore che, nel 2005, ha interpretato Valli nello show di Broadway, ha vinto tre Tony Awards; il libro da cui è tratto il film è firmato dal collaboratore di Woody Allen Marshall Brickman e da Rick Elice, mentre Clint qui guarda a Quei bravi ragazzi per ricostruire i rapporti tra i membri del gruppo. Interessante, a proposito, la scelta di Joe Pesci in un cammeo. Circola molta energia, insomma, in questo biopic musicale, condito da diversi ballabili e ragazze stilose a bordo palco. Se si pensa che l'andamento di Clint alterna trionfi e cadute (dopo il formidabile Lettere da Iwo Jima è arrivato il divisivo J.Edgar), stavolta Jersey Boys dovrebbe collocarsi dalle parti del successo. Perché c'è pure la mafia, per le strade del New Jersey, a rendere più rischioso e complicato il cammino artistico dei quattro artisti imbrillantinati che vogliono soltanto cantare Rag Doll e Walk Like a Man senza doversi guardare le spalle.
Come si vede nel trailer del film, diffuso in Rete, le aree narrative, con le singole storie dei Jersey Boys, appaiono ben dosate con i numeri musicali in senso stretto.
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