Muti dirige Verdi da "amante" fedelissimo. E il solista Klieser esalta con Mozart

Il "Ravenna Festival" si conferma eccellenza della classica. Da 26 anni

Muti dirige Verdi da "amante" fedelissimo. E il solista Klieser esalta con Mozart

Loreto. Le Marche accolgono sempre il viandante con il calore educato della propria gente e i cieli dorati dei propri tramonti, qualcosa che in questi tempi orrendi di guerra e di crisi è un balsamo per lo spirito.

Il colle dove si erge la basilica-fortezza di Loreto è luogo quanto mai propizio perché giungano presso il celebre santuario mariano Le Vie dell'Amicizia, tradizionale concerto che Ravenna Festival sotto la guida musicale di Riccardo Muti organizza da ventisei anni per unire con la lingua universale della musica popoli e culture diverse.

Nella piazza-sagrato dove hanno atteso giganti dell'architettura, da Bramante a Vanvitelli, accesa dall'illuminazione di colori meravigliosi, ci sovveniva l'immagine di Gabriele D'Annunzio che ambienta il secondo atto di Parisina, la tragedia scritta per la musica di Pietro Mascagni, nella Santa Casa di Loreto, costruita di pietre rossastre con una porta, con una finestra, con un focolare, con un altare. Come nell'atto lauretano di D'Annunzio, le Vie dell'Amicizia hanno intessuto «laudi» e «litanie» con l'apporto dei giovani musicisti dell'Orchestra Cherubini e di tre cori (Coro Cherubini, Cremona Antiqua e il polmone ucraino del Teatro nazionale Shevecenko), scegliendo autori e testi consoni al momento di raccoglimento e riflessione che è l'atto quotidiano del fare musica fra uomini di buona volontà. L'aria ardeva tutta quanta melodiosa.

Apriva la serata il fastoso e lirico Magnificat di Antonio Vivaldi (soliste Arianna Vendittelli e Margherita Maria Sala) con il suo forte memento in questo mondo di plutocrati e tiranni sfrenati a Dio che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Dopo Vivaldi, seguivano i due Pezzi sacri maggiori di Giuseppe Verdi, lo Stabat Mater e il Te Deum. L'aderenza di Verdi al testo doloroso e senza tempo di Jacopone della mater dolorosa, simbolo di tutte le donne che oggi perdono figli e mariti e fratelli e padri nell'inutile strage, è formidabile, come la potenza dell'inno di lode che termina con la triplice invocazione alla speranza (In Te Domine, speravi) ma si chiude su un punto interrogativo dei contrabbassi, fissando il grande mistero della fede di Verdi.

Una spiritualità schiva, personale, laica, in un certo senso anticlericale, che portava il grande uomo-musicista a raccogliersi spesso in una chiesetta di campagna e a censurare il silenzio del papa marchigiano Mastai Ferretti davanti al martirio dell'arcivescovo di Parigi, trucidato dalla Comune.

Il maestro Muti che Verdi tutto porta con sé come un breviario laico, ha dato una lettura da «amante», con quella passione affinata dalla maturità che inala parole e musica scavando fino all'ultima fibrilla.

Fra Vivaldi e Verdi, alcuni intermezzi (un canto eucaristico medioevale e due preghiere corali moderne), interpretati da altri ospiti ucraini, hanno espresso la dignità di un popolo che fa sentire la sua voce fraterna.

Non dimenticabile la lezione umana e artistica di Felix Klieser, solista del concerto in re maggiore per corno di Mozart, nel cui segno si è concluso il concerto con l'esecuzione del sublime Ave Verum Corpus.

Sul sagrato della basilica, da quella porta spalancata in cui si scorge brillare fra i torchi e le lampade la vergine nera, sono sbucati i pueri cantori (Vocincanto) che il maestro Muti ha unito a musici e coristi in una preghiera verace che non abbisogna commenti, solo gratitudine.

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