Accolto trionfalmente al Sundance Film Festival dove ha vinto il premio per la Miglior Sceneggiatura, "Nancy" è un film che incede dolente nella disamina di temi difficili come quelli della perdita, della solitudine e della fiducia.
Nancy (Andrea Riseborough) è una trentacinquenne che accudisce la madre (Ann Dowd), malata da tempo, e che non ha alcuna prospettiva se non quella di continuare a trascinare la propria vita vuota. Alla morte della genitrice non ha idea di cosa fare della propria esistenza ma rimane folgorata dalla visione di un servizio televisivo su una bambina scomparsa trent’anni prima. Il volto che avrebbe oggi quella piccola, ricreato al computer, somiglia in maniera impressionante a quello di Nancy, che quindi decide di farsi avanti con Leo (Steve Buscemi) ed Ellen (J. Cameron-Smith), i due genitori che ancora sognano di riabbracciare la figlia sparita nel nulla. I tre inizieranno a conoscersi e a comportarsi apparentemente come una famiglia ricongiunta, ma l'attesa per avere i risultati del test del DNA sarà costellata da sospetti e tensioni.
Debutto alla regia della scrittrice Christina Choe, "Nancy" dipinge il mondo emotivo di individui sofferenti, in ostaggio di timide paure e fragili speranze. Magistrale il modo in cui Andrea Riseborough interpreta la protagonista del film. Sempre impeccabile, l'attrice riesce a passare in maniera camaleontica da pellicole come "Birdman" e "Oblivion" a piccole opere indipendenti come questa, in cui i dialoghi sono ridotti all'osso e tutto si gioca sugli sguardi e i non detti. La sua Nancy è una figura spenta, esteticamente dimessa e caratterialmente schiva, devota solo al suo gatto e a una cupa malinconia. E' tormentata, alla ricerca di una qualche compiutezza prima ancora che di sé, e viene accolta in maniera diversa dai due coniugi: dalla moglie con emozione e fiducia, dal marito con razionalità e diffidenza. Entrambi, ad ogni modo, si trovano destabilizzati da quella nuova presenza in casa, sospesi tra l'ebbrezza del sogno e il timore della disillusione.
Gli ottantacinque minuti di girato sono la giusta durata per un film il cui incipit è freddo e straniante e che, pur non conoscendo tempi morti, prosegue con un ritmo monotono congeniale a quella che è la peculiarità dell'intera opera, ossia un'intensità sommessa.
"Nancy" è un
dramma che non si abbandona mai al pathos, scegliendo di lavorare su sfumature psicologiche e di far parlare soprattutto i silenzi. In questo senso, rappresenta una sfida non solo per gli interpreti ma anche per lo spettatore.
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