Nel cd del «cantautore piccolino» anche un brano di De Moraes

Nel cd del «cantautore piccolino» anche un brano di De Moraes

Conservatorio Verdi. Metà pomeriggio di quelli sonnolenti. Sergio Cammariere sale sul palco davanti a pochi intimi, alto dinoccolato e timidissimo, forse più magro del solito, e inizia a suonare il suo pianoforte. Ooohhh. Benvenuti nel suo mondo, che è così lontano da questo nostro sempre affannato. Martedì esce il suo nuovo disco, che non si intitola altro che Sergio Cammariere ed è forse il suo più coraggioso: «Tra bossa, jazz, swing, chanson e addirittura progressive in queste canzoni c’è la sintesi della mia anima», spiega dopo aver suonato mezzoretta. Con lui, compattissimi, contrabbasso, batteria e percussioni, un quartetto che basterebbe a se stesso non fosse che qui e là entra Fabrizio Bosso e, con la sua tromba, ruba attenzione con la classe di chi non la cerca. In fondo è la stessa innata strategia di questo pianista spilungone che si ritrova di fianco, chino sulla tastiera e nascosto dalla frangia di capelli, il «cantautore piccolino» con una voce malinconica che cent’anni fa sarebbe stata la colonna sonora ideale delle notti tra Montparnasse e il pensieroso boulevard Raspail. Cammariere, si sa, non riesce a star fermo in un solo spartito e quindi, appena può, lo cambia. Ha cinquantun anni, adesso, e, anche se dice che «qui e là mi sono spuntati dei muscoli perché ho un personal trainer che m’impone di fare ginnastica», si vede e si sente che nella vita si è soltanto allenato a suonar musica. La vive. E ci entra dentro appena si spengono le luci, qui sul piccolo palco del Conservatorio. Per capirci, ha inciso il primo disco nel 2002, diciamo cinque anni dopo aver partecipato al Premio Tenco. Persino quando è arrivato al Festival di Sanremo nel 2003, con Tutto quello che un uomo, lui era una cosa a parte, troppo lontano, forse impaurito, dal chiacchiericcio gossiparo e del tutto indifferente alla gara. Forse per questo, dopo l’album Carovane del 2009, ha fatto tutto quello che gli mancava di fare, nel senso che l’aveva già fatto ma poi non c’era più riuscito: colonne sonore. Cinema. Teatro. E persino filologia musicale perché, con Bosso alla tromba, ha dato il ritmo divertito, sospiroso, sognante o drammatico al Charlie Chaplin muto di Charlot a teatro, Charlot alla spiaggia e Charlot vagabondo. Comiche per modo di dire. Pezzi di musica senza tempo.

E anche le dodici canzoni del nuovo disco, germogliate con l’aiuto di Roberto Kunstler, Sergio Secondiano Sacchi e Giulio Casale, sono ciascuna la tappa di un viaggio vagabondo che, passando persino dal Vinicio De Moraes di Onde anda voce tradotto da Sergio Bardotti in Com’è che ti va, apre una parentesi nella quale ciascuno può riprendere un po’ di fiato. Finalmente.

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