In fondo il segreto di essere Jovanotti è non avere limiti di velocità. Va sempre a cento all'ora, costi quel che costi, perché ha un propellente ecologico ma irresistibile: la curiosità. Figurarsi alla fine del primo concerto di un tour che ha già quaranta sold out, accumula ben dodici concerti al Forum di Assago (in pratica come due San Siro esauriti) e rivela per l'ennesima volta un altro colore della sua musica. Stavolta è la sua visione personale e condivisibile di rock'n'roll. Perciò il «Jovanotti reloaded» che ha debuttato l'altra sera è qualcosa difficile da arginare e nemmeno lui ce la fa, visto che balla e canta e corre e parla per due ore e mezza a bordo del suo ultimo disco Oh, vita! e dei suoi super classici. Poi uno dice: sarà stravolto. Macché: all'una di notte chiacchiera che è un piacere, basta solo dargli il la.
Qual è la prima nota del suo concerto?
«La voglia di fare una festa».
Perciò sul soffitto dei palasport avrà sempre tredici lampadari da tre metri e mezzo di diametro.
«Negli ultimi tour avevo l'idea del super eroe, stavolta i miei show saranno come un salone delle feste, con questi lampadari che mi ricordano la Scala oppure il ballroom dove ballare e ascoltare la mia visione della vita».
E l'idea da dove arriva?
«Nella villa fiorentina dove ho registrato l'album con Rick Rubin c'è un enorme lampadario. Tutto è nato da lì. Ne ho parlato con Giò Forma che poi ha progettato questi lampadari che hanno addirittura 220 metri lineari di pendagli di vero cristallo ciascuno. Sovrastano il pubblico e si trasformano di volta in volta da oggetti classici a macchine da discoteca, sparalaser o lampioni di città».
La chiave d'accesso al suo salone delle feste?
«Lo spirito rock'n'roll, ossia il buio contrapposto alla luce, l'energia e la tenerezza, l'amore e la fuga. Non c'entra tanto il genere musicale in sé, visto che nel mio concerto c'è il rock'n'roll, certo, ma anche il country oppure il pop, il rap e l'elettronica alla Prodigy. È una questione di spirito».
Ma non solo.
«Anche di intuizioni».
Come Don Chisciotte.
«Questa estate ho riletto una nuova edizione del Don Chisciotte di Cervantes e ho scoperto che lui aveva la mia età: 51 anni. Mi sono detto: è un segno. Dopotutto è il personaggio dei personaggi, aveva lati comici e lati tragici e anche io sono a modo mio tragicomico. Mi conquista la sua volontà di essere vivo e di trasfigurare la realtà».
Jovanotti come Don Chisciotte contro i mulini a vento?
«Lui è il mio trampolino per gettarmi dentro una storia e questo spettacolo, proprio come lui, è un tentativo folle di opporsi alla cupezza. Nel video degli Immortali, che scorre sullo schermo, indosso il costume originale che fu del Don Chisciotte di Vittorio Gassman».
Il concerto si apre con un cartoon di tre minuti sul Jovanotti/Don Chisciotte realizzati da Manuele Fior e poi da un estratto dell'adattamento teatrale di Corrado D'Elia con la voce di Miguel Bosé.
«Ho preferito lasciare le sue parole in spagnolo con i sottotitoli, in modo che il pubblico si possa concentrare sul senso del discorso».
E il senso di ciò che viene dopo?
«È il racconto di come vedo io le cose anche attraverso i dettagli o i piccoli particolari. Non sopporto le generalizzazioni».
Nel suo primo concerto ha citato Darwin per criticare il razzismo.
«È una sorta di banalità necessaria: è stato il mondo aperto e senza razzismo a farmi crescere».
La sua band è molto più essenziale e meno barocca.
«A tutti ho detto: voi suonate meglio di sempre, lo show lo faccio io».
Lo farà per decine e decine di volte, non cade nella routine?
«Qualcuno ha mai chiesto a un pilota se si annoia a fare 60 volte il giro dello stesso circuito?».
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