«C'erano così tante cose che Keely non riusciva a capire. Come se fosse entrato in un cinema a metà film». Anche noi siamo entrati in questo cinema a metà film. Con Tom Keely sulla soglia dei cinquant'anni, da poco lasciatosi con la moglie e da poco rimasto senza lavoro. L'ormai ex portavoce di un'associazione ambientalista australiana, dal suo appartamento al decimo e ultimo piano di un palazzone di Fremantle osserva la propria vita andare alla deriva sul mare. Non sopporta più i «visi dall'innocenza marsupiale» dei suoi giovani colleghi, è schiacciato dalla «tettonica pressione morale» della madre Doris, s'abbrutisce imbottendosi di tranquillanti e, le poche volte che trova la forza di scendere a fare la spesa, inorridisce alla vista dei «giornalisti epiceni in fuga dalla sarchiatura pomeridiana».
Se ne sta lì come un naufrago sulla zattera, o come un gabbiano solitario abbarbicato al nido. Il nido in cui l'ha confinato Tim Winton (Fazi Editore, pagg. 442, euro 19,50, traduzione di Stefano Tummolini, da oggi nelle librerie) sarebbe, alla lettera del titolo originale, Eyrie, quello di un uccello predatore, o, in subordine, un luogo inaccessibile. Lo è, quando noi lettori entriamo in sala. Ma ben presto diventa un ricovero di fortuna per una sua vecchia conoscenza dei tempi dell'infanzia, Gemma, quarantaduenne single, e per il di lei nipotino, Kay, di sei anni. Abitano lì, sullo stesso piano di Tom, ma non l'avevano mai incontrato (la cara, vecchia incomunicabilità tra vicini di pianerottolo, quanti regali ha fatto alla storia della letteratura...).
Tuttavia i ricordi di trentacinque anni prima, di quando Gemma era stata, con la sorellina, pressoché adottata dai Keely (il padre Neville energico e tutto d'un pezzo pastore evangelico, la madre Doris, la piccola Faith e lui, il Nostro antieroe) per metterla in salvo da una situazione familiare con molti, troppi lati oscuri, non sono i prodromi di una rinascita. Questa non è una commedia, è una catena di drammi. Perché la cattiva stella sotto cui nacque Gemma ha continuato a seguirla come un radar, procurandole una figlia, Carly, in galera per droga, e un genero ancor meno raccomandabile. E soprattutto il conseguente fardello di Kay, ipersensibile mucchietto di ossa ostaggio di profondi e imperscrutabili disordini psichici. Tom combatte senza speranza contro un nemico subdolo e astuto, il «viscido impulso paterno», e quando altri, malissimo intenzionati, mettono piede intorno al nido, raccoglie le poche forze e il poco orgoglio di cui è ancora dotato per calarsi, informalmente, nel doppio, anzi quadruplo ruolo di padre-zio e marito-amico.
Tim Winton, classe 1960, nato a Karrinyup, un sobborgo di Perth, poche miglia a nord di Fremantle, ha qualcosa a che fare con il suo disilluso ambientalista Tom Keely, poiché è stato nominato, come un esemplare raro da tutelare, membro del National Living Treasure australiano, la lista delle cento personalità più rilevanti del Paese. Grazie alla sua scrittura che sa essere, allo stesso momento, nello stesso giro di frase, tersa e nuvolosa, cristallina e opaca.
E qui, dal suo Nido, con le piume come sempre arruffate da un'organica, compassionevole ma rabbiosa partecipazione emotiva ai legami intra ed extra familiari dei personaggi (come in Dirt Music, La svolta, Respiro, I cavalieri, Cloudstreet) sorveglia di lontano, con sguardo preoccupato, tutt'altro che lucreziano, il mare in tempesta che travolge Tom, Gemma e Kay. E noi con lui.
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