Cultura e Spettacoli

Da Vico a Leopardi i padri nobili (e spesso dimenticati) di una tradizione italiana custode di libertà

Nel saggio di Marco Gervasoni sono ricostruite le basi filosofiche e storiche della corrente che da sempre percorre la nostra vita politica. Magari non dichiarata...

Da Vico a Leopardi i padri nobili (e spesso dimenticati) di una tradizione italiana custode di libertà

Da qualche tempo la parola conservatore è entrata nel dibattito politico quotidiano. Il concetto di conservatore ha tuttavia sempre portato con sé scarsa fortuna sul piano della comunicazione, della propaganda e insomma del mercato politico. Forse perché a ben vedere non sarebbe fino in fondo una ideologia politica?

A questo quesito cercheremo di rispondere tracciando i lineamenti di una filosofia politica conservatrice italiana, da Giambattista Vico fino ad Augusto del Noce, passando per Vincenzo Cuoco, Giacomo Leopardi, Gaetano Mosca. Contrariamente alla vulgata, in Italia è infatti stata importante e ramificata tanto una cultura politica conservatrice quanto una politica pratica orientata a quei principi: solo che per una serie di ragioni essa non si è mai voluta o potuta presentare come tale. L'Italiano è sempre stato conservatore, e decisamente più conservatore di altri popoli: solo che non lo sa.

Il pensiero conservatore italiano è quindi animato da un realismo pessimista che incontra le categorie dell'impolitico. Nel sua impoliticità, nel riconoscere l'eternità del potere dell'essere e del potere sull'essere, finisce tuttavia per rovesciarsi nel suo opposto, cioè nella capacità di cogliere con rara nettezza i rapporti di forza. Il potere, per il pensiero conservatore italiano, è dunque nella sua essenza un intreccio di rapporti di forza e dominio, un dominio quasi sempre bruto, crudo, spietato. Sono tre le conseguenze derivanti da questa presa d'atto: una è il rapportarsi al potere con gli strumenti e i mezzi della cultura e dell'arte, la seconda consiste nell'assumere un atteggiamento nicodemico, entrare nelle cittadelle del potere, cercando di mitigarne gli aspetti più brutali; la terza consiste infine nell'allontanarvisi per colpire meglio, secondo una strategia che poi Ernst Jünger avrebbe chiamato del rifugio nel bosco e Carl Schmitt del partigiano.

In ogni caso il conservatore agisce non per estendere il potere politico piuttosto per frenarlo, lasciando che la comunità lo equilibri. Essa è ovviamente attraversata da rapporti di potere, ma al suo interno i costumi, la tradizione, la religione, ne limitano il carattere distruttivo o almeno lo diluiscono. Quando questi rapporti di potere si fanno Stato, però, il rischio della comunità di essere stritolata è quasi certo. Il pensiero conservatore italiano è consapevole che il potere utilizza ogni spazio simbolico per legittimarsi, ma al tempo stesso che questa operazione è una rappresentazione fantasmatica, un teatro di maschere.

E qui il conservatore italiano mantiene un atteggiamento ambiguo. Costumi, tradizione, religione appartengono alla sfera del sacro, l'elemento di coesione indispensabile della comunità. Al tempo stesso, il conservatore sa che il potere utilizza proprio il sacro per legittimarsi. Per quanto il potere sia sempre tentato di cadere nella sfera del male, esso è tuttavia necessario per mantenere l'ordine; in ogni caso un nuovo potere, che prometta di eliminare il sacro, che cioè affermi di fondare la sua legittimazione sulla razionalità, non sarebbe diverso da quello precedente - anzi sarà persino peggiore, proprio perché avrà abbandonato la dimensione trascendentale.

E allora il conservatore accetta il gioco, da un lato riconosce la maschera del sacro che il potere indossa per legittimarsi, e arriva persino a costruirla, se si tratta di mantenere in sicurezza la comunità. Ma dall'altro, nel proprio intimo, il conservatore non vi aderisce; la maschera del sacro non è il sacro, e non diversamente da Sant'Agostino, il conservatore sa che il potere investe la società terrena ma che, oltre alla Città terrena, esiste la cura della Città sacra, quella della tradizione, delle radici e del costume. Da qui una sorta di dissimulazione onesta, da parte del conservatore nei confronti del potere. Che in alcuni casi ha potuto confondersi con ambiguità, doppiezza o ipocrisia, ma che dal punto di vista filosofico parte dalla assunzione che il potere, e soprattutto quello che si incarna nella politica, sia il male, anche se un male, necessario, e che per questo vada il più possibile limitato.

Dobbiamo distinguere chiaramente il conservatorismo come proposta politica, dal suo significato all'interno della società e della cultura. Sembrerebbe infatti che i valori dei conservatori stiano per essere completamente cancellati dall'avanzamento di quello che chiamiamo differenzialismo inclusivo del politicamente corretto e del woke. Sul piano della cultura, infine, quella un tempo detta di massa esalta quotidianamente valori agli antipodi del conservatorismo, mentre quella alta, rappresentata da case editrici e da università, è solidamente controllata dai progressisti.

Altro che trionfo o rinascita del conservatorismo: sembra di assistere al suo declino... In realtà, da un punto di vista politico ma non solo, dovremmo collocare la crisi dell'egemonia conservatrice nei primi anni del nuovo millennio, che hanno condotto anche a una sorta di guerra interna ai conservatori. Questa lotta vede tutt'ora i vecchi conservatori, i neo, contrapporsi a coloro che prima erano classificati come paleo, e che invece oggi possiamo definire populisti. Molti si chiedono però se questi ultimi non rischino però di lasciare per molto tempo all'opposizione i Repubblicani, o se siano in grado, nelle loro tentazioni isolazionistiche, di rispondere allo scenario di una nuova guerra tra blocco occidentale e blocco orientale (Cina, Russia, Iran e così via). Oppure ancora se la torsione trumpiana del conservatorismo non ne abbia decretato, dopo quasi due secoli, addirittura la morte.

Tutto questo vale nel mondo anglo americano: perché nella Ue non abbiamo assistito a nulla di tutto questo, quasi a dar ragione a chi considera il conservatorismo una ideologia limitata al mondo atlantico. Al contrario, siamo convinti che il conservatorismo sia al tempo stesso una cultura, una sensibilità e un ethos, non necessariamente politici, di carattere universalistici.

Se è vero che nell'Europa continentale non hanno mai sortito molta fortuna partiti conservatori dotati di quel nome, non possiamo certo pensare il conservatorismo inesistente: altrimenti come definire, giusto per citare alcuni personaggi dal dopoguerra ad oggi, De Gasperi, Adenauer, De Gaulle, Kohl, Sarkozy, Aznar, Berlusconi?

Molti di questi leader rifiutavano e rifiutano di definirsi e di farsi definire conservatori, nonostante larga parte delle misure che hanno introdotto nei rispettivi Paesi, oltre alla loro cultura e ideologia, fossero di tale impronta. A credere a George Urban, non si sarebbe sentita conservatrice neppure... Margaret Thatcher: «Il problema del Partito conservatore - gli confessò poco dopo aver lasciato Downing Street - è il nome... Noi non siamo un partito conservatore; siamo un partito di innovazione, di immaginazione, di libertà, di ricerca di nuove soluzioni, di un rinnovato orgoglio e di un nuovo senso della leadership... Questo non è essere conservatori». A sua volta Ronald Reagan non utilizzava sovente questo termine per definirsi, nella sua autobiografia si presenta piuttosto come un alleato dei conservatori, con cui però spesso litiga mentre i suoi studiosi accompagnano o precedono il termine conservatore con aggettivi come pragmatico, rivoluzionario, populista.

Insomma il termine conservatore non sembra gradito neppure ai principali fautori politici del conservatorismo, mentre in altre formazioni politiche non si è mai vista timidezza nel definirsi socialisti, liberali, cristiano democratici .

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