Brevi cenni di Lorenzo Cenni, figura di anarchico, operaio e letterato di primo '900. Di giorno lavorava come tipografo, di notte scriveva invettive anarco-sindacaliste e affiggeva manifesti nelle strade Firenze. La pasionaria anarchica Leda Rafanelli lo volle con sé alla direzione della rivista letteraria e operaista La Blouse. Il motto era «L'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi». Il fine: creare un ponte tra il movimento operaio e quegli intellettuali sovversivi che rivendicavano un ruolo sociale dell'arte (con un certo anticipo sui manifesti del movimento futurista...).
Cenni - intellettuale refrattario e agitatore propagandista - fu attratto inizialmente dal pensiero anarco-individualista, poi si impegnò sul fronte del socialismo rivoluzionario, sempre animato da spirito antireligioso e anticlericale. Nel 1914 si avvicinò all'ambiente futurista e pubblicò - con la tipografia di Enrico Vallecchi, che stampava le riviste futuriste Lacerba e Quartiere Latino - il libello polemico Aristocrazia operaia. Realizzando così idealmente l'unione di intenti fra gli irrequieti futuristi interventisti, guidati da un Filippo Tommaso Marinetti sempre più ispirato dalla lotta contro la borghesia, e gli anarchici, attratti invece dall'idea che la guerra fosse una necessità sociale. Bene. Oggi quel libro introvabile, raro e inquieto è ripubblicato, a cura di Guido Andrea Pautasso, con l'aggiunta di un'appendice di testi di anarco-futuristi che dimostrano proprio quella linea di continuità: Lorenzo Cenni, Aristocrazia operaia (Aspis, pagg. 198, euro 22).
Sì, ma qual è l'idea centrale del pamphlet? Che l'insurrezione dei lavoratori contro le istituzioni politiche, religiose e borghesi doveva partire dalla crescita intellettuale delle stesse forze operaie, invitate a superare le barriere ideologiche rappresentate dai partiti politici tradizionali (e anche dalle forze sovversive, incapaci di trasformare la Rivoluzione in un percorso costruttivo). L'obiettivo - c'è da dire: molto attuale - non era la realizzazione utopistica di una società anarchica, che alla fine sarebbe stata totalitaria, ma cambiare la civiltà in senso moderno e libertario, agendo sulla cultura, sull'economia e sul sociale.
Il sogno di Cenni era di contribuire all'emancipazione del singolo proletario, trasformandolo da vecchio lavoratore incapace di reagire alle regole dettate dalla borghesia e dal dominio capitalista, in «Operaio Moderno», in «Homo faber» padrone di se stesso, cosciente della propria forza rinnovatrice. Per questo, ormai insoddisfatto dai movimenti sovversivi anarchici, si rivolse a rivoluzionari più radicali, come il socialista eretico e interventista Benito Mussolini, tanto da diventare corrispondente da Firenze del Popolo d'Italia. L'attività di agit-prop a favore dei socialisti eretici mussoliniani costò a Cenni il disprezzo dei vecchi compagni di lotta che non gli perdonarono il tradimento dell'ortodossia social-pacifista (e due membri del Partito Socialista fiorentino lo attesero per la strada, prendendolo a bastonate).
Dopo lo scoppio della Rivoluzione Bolscevica, seguendo l'anti-leninismo di Mussolini, Cenni pubblicò l'ennesimo libercolo propagandistico, Il fuoco che incendiò la Russia, denunciando il pericolo dell'ideologia leninista e bolscevica pronta a liquidare il proletariato e a costruire un regime dispotico. Da allora, di Cenni anarchico e libertario, sindacalista rivoluzionario, amico dei futuristi, diventato infine socialista rivoluzionario mussoliniano, non si seppe più nulla. Fino a oggi.
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