Si può scherzare su tutto. Pure sui diritti dei lavoratori. Sui dogmi, sulle credenze, sulle ideologie. Pure sulla Pasqua. E sui santi. Perché «la risata libera spazio nell'anima per lasciare posto alla speranza». E Giovanni Scifoni è un turbine di simpatia e ironia, un flusso di coscienza tempestoso e irresistibile.
Il suo video dedicato alla festa del Primo maggio ha sbancato su Raiplay. E' il debutto della nuova serie La mia Jungla realizzata da Rai Fiction (Ruvido Produzioni) per la piattaforma on line della tv di Stato, un surreale Hellzapoppin sulle nostre nevrosi e follie, amplificate dalla clausura. Un lavoro che per Scifoni, attore, scrittore, fumettista, arriva da lontano: i suoi video da anni spopolano sui social, soprattutto quelli che raccontano la vita dei Santi in maniera irriverente e attuale.
Il pubblico della tv lo ha visto recentemente in Doc, ma anche in Squadra antimafia, Un medico in famiglia e tante altre fiction.
Scifoni, momento ideale per sbarcare su Raiplay per lei che racconta le follie familiari da anni
«Infatti sono molto contento di questo progetto nel luogo in questo momento più bello e innovativo della tv. Continuerò con lo stesso schema che uso sui social: con la credenza anni '50 alle spalle mi pongo le grandi domande che ci attanagliano, che ci creano ansia, per esempio quanta voglia abbiamo di uscire adesso che possiamo, e forse non è tanta. Nel prossimo episodio, in occasione della festa della famiglia, il 15 maggio, affronto la questione di dove mettere i figli ora che i genitori devono tornare al lavoro».
Il suo segreto è scherzare senza offendere e infilare, dopo i sorrisi, uno spunto di riflessione.
«Esatto. Bisogna ridere di ciò che abbiamo caro perché serve a scardinare le nostre paure. Io cerco di scovare la stupidaggine, la scemenza per introdurre un certo argomento, anche difficile come per esempio la Pasqua, in modo da arrivare a essere compreso da chiunque, anche da un aborigeno australiano. La risata è fondamentale per immedesimarsi, per mettere le mani nel fango, per arrivare al paradosso. E poi a quel punto arriva il pensiero in cui credo».
E per farlo coinvolge tutta la famiglia, soprattutto i suoi figli: Tommaso (13 anni), Cecilia (11) e Marco (6). Sono così terribili come nei filmati?
«Abbastanza. Ma io non racconto esattamente quel che succede in casa mia, anche se ovviamente prendo molti spunti. Non metto in mostra i miei figli come fanno, ad esempio, i Ferragnez, senza alcuna critica nei loro confronti. Loro tre sono praticamente degli attori, dei personaggi, li proteggo dall'esposizione attraverso un gioco autoriale, un filtro artistico. Le sceneggiature le scriviamo insieme: se ne ridono loro, sono sicuro che ne rideranno anche gli altri bambini».
Ma lei come padre è un disastro come si racconta negli episodi?
«Diciamo che sono un padre molto bravo a gestire le emergenze quando c'è una crisi intervengo.. eh lo so, dicono tutti così. Infatti il mio piccolo mi ha fatto fare una figuraccia raccontando l'altro giorno in diretta con il programma della Balivo che sono come un morto, perché mi chiudo tutto il giorno nello studio».
Questa quarantena come è andata?
«Abbiamo fatto un prospetto preciso degli orari per scandire la giornata con gli impegni di tutti, non ne abbiamo rispettato uno però devo dire che chiusi in casa si riscoprono tanti lati positivi, per esempio la sincerità: si è costretti ad aprirsi con i propri familiari più di prima, perché non c'è nessun altro con cui parlare. È come vivere in un monastero, la clausura è un mondo affascinante dove si instaurano relazioni profonde, ognuno mette il cuore nelle mani dell'altro».
A proposito di fede, i suoi video spassosi sulle vite dei santi fanno milioni di visualizzazioni, non è facile farsi ascoltare su certi argomenti
«Questo dimostra che le persone hanno bisogno di spiritualità, di sostanza. Soprattutto i giovani che trovano poco contenuto sui social. E quando incontrano qualcuno che non gli vuole vendere un'enciclopedia, che non parla in cattedra, che non vuole fare proselitismo, si mettono sulla sua stesa lunghezza d'onda».
La fede pervade tutto il suo lavoro, dal teatro alla tv..
«E pensare che quando ho deciso di fare l'attore comico pensavo: mi è capitata sta sfortuna di essere cattolico. Poi ho scoperto San Filippo Neri e ho incontrato un grande come Don Fabio Rosini (una «star» del web con i commenti al Vangelo). Ho capito che si può sorridere anche sulle cose serie. Si crede che il comico debba per forza essere distruttivo, invece si può distruggere costruendo, come Molière, maestro del castigat ridendo mores. Del resto per un cristiano Cristo risorto è una bella notizia e le belle notizie portano alla risata. Mi dicono: tu usi la fede come consolazione, ma chi ha fede fa il contrario, si mette su una cima da dove si vede l'abisso».
Lei è stata apprezzato anche nella fiction Doc, dove interpreta l'amico neuropsichiatra del protagonista Luca Argentero. Una serie boom su Raiuno interrotta a metà a causa del virus.
«Un grande successo nonostante si parlasse di medici in corsia durante il picco dell'emergenza. Non so quando potremo riprendere a girare le ultime quattro puntate, spero presto, lo spero soprattutto per tutta la categoria dei lavoratori dello spettacolo. È assolutamente necessario un intervento urgente perché l'arte e la bellezza sono un patrimonio unico nel nostro Paese».
Già che è chiuso in casa, sta anche scrivendo un libro per Mondadori
«Una raccolta di situazioni
divertenti sulla tifoseria ideologica, sulla difesa strenua della proprie posizioni impedendo il dialogo. Ma la clausura non mi ha agevolato, con tutti i figli in casa mi sono buttato, appunto, sui video. Appena esco, lo finisco».
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