Cultura e Spettacoli

Nesser arruola Van Veeteren e Barbarotti per cucinare un nuovo «caso freddo»

Il giallista svedese manda sul campo delle indagini i suoi due personaggi seriali

Daniele Abbiati

A oltre novant'anni dalla loro pubblicazione su The American Magazine, alcune fra le Venti regole per scrivere romanzi polizieschi fissate da Willard Huntington Wright, alias S. S. Van Dine, come i reati con cui hanno a che fare sono cadute in prescrizione, e nell'oblio. In molti gialli di oggi, infatti, c'è o troppa azione (cioè troppa realtà) o troppe elucubrazioni (cioè troppa fantasia), e sia l'una sia le altre rendono claudicante la narrazione.

Non accade a quelli di Håkan Nesser, che probabilmente il legislatore Van Dine avrebbe apprezzato per il rigore razionalistico, ma ciò non toglie che nel suo ultimo libro lo scrittore svedese classe 1950 si sia reso colpevole di un'infrazione tutt'altro che marginale. Dice la regola numero 9: «Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo deduttore, un solo deus ex machina. Mettere in scena tre, quattro o addirittura una banda di segugi per risolvere un problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto il lettore non sa più con chi sta gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta». Ebbene, in La confraternita dei mancini (Guanda, pagg. 501, euro 19,50, traduzione della fedelissima Carmen Giorgetti Cima) che cosa fa Nesser? Manda sul terreno di gioco entrambi i suoi campioni: il commissario Van Veeteren e l'ispettore Barbarotti. Nonostante il primo sia in pensione da un bel pezzo, è una licenza narrativa che Van Dine condannerebbe. Occorre però dire che Barbarotti scende in campo a secondo tempo inoltrato, alzandosi dalla panchina dell'immaginaria Kymlinge, lassù in Svezia, quando cioè Van Veeteren, nella sua Olanda, mai dichiarata ma riconoscibilissima, in compagnia della seconda moglie Ulrike Fremdli ha già messo testa e piedi sul caso, dopo che l'ex collega Münster gli ha messo nell'orecchio una pulce grossa come uno dei gabbiani che volteggiano nel cielo di Maardam, immaginaria quanto la Kymlinge di Barbarotti ma qui molto più presente dell'omologa scandinava. Festeggiare, seppur nell'intimità con la sua signora, il settantacinquesimo compleanno, avrebbe del resto intristito Van Veeteren...

E allora, sotto con questo cold case. Che è freddo da ventuno anni, da quando la reunion della ristretta «Confraternita dei mancini», amici d'infanzia negli anni Sessanta, è finita in una disgrazia, anzi, in una strage. Quattro morti nell'incendio palesemente doloso della locanda-ristorante affittata allo scopo. Il colpevole? Semplice, conclusero allora, nel 1991, gli inquirenti, Van Veeteren compreso: è il quinto della combriccola, svanito però nel nulla. Peccato che ora, cioè nel 2012, casualmente salti fuori il cadavere del presunto assassino. E questa volta il giro di giostra è molto più lungo e tortuoso. Perché in ballo entrano il rapimento e la morte di una bambina; lo strano memoriale a tinte gotiche di una ex novizia; i demoni di un ex poliziotto diventato detective privato; quelli della gemella (non mancina...) di una vittima del rogo; un cadavere, lassù in Svezia, con un'accetta conficcata in testa...

Sarà la doppia coppia a chiudere la partita a poker con il mistero. La doppia coppia costituita da Van Veeteren con la sua consorte e da Barbarotti con l'ausilio della sua nuova compagna, la collega Eva Backman che gli cura la ferita insanabile della moglie morta dopo lunga malattia.

Questo caso «freddo» aveva proprio bisogno di tanto calore umano.

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