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Nino Manfredi. I cento anni di un re della risata

Potrà essere banale star dietro alla "tirannia" degli anniversari, ma ben venga l'occasione del centenario della nascita di Nino Manfredi per soffermarsi, compiutamente, sul suo profilo

Nino Manfredi. I cento anni di un re della risata

Potrà essere banale star dietro alla «tirannia» degli anniversari, ma ben venga l'occasione del centenario della nascita di Nino Manfredi per soffermarsi, compiutamente, sul suo profilo. Lo ha fatto Andrea Ciaffaroni attraverso un libro, Alla ricerca di Nino Manfredi (Sagoma Editore), dal quale traspare una passione meticolosa, richiamante il proverbiale perfezionismo dell'attore. L'«orologiaio» lo definì Dino Risi, anche se come definizione tralascia l'aspetto più importante, ovverosia la sensibilità con cui riusciva a catturare i moti dell'animo. Una tenacia, la sua, rafforzata dall'adolescenza in sanatorio, allorché la tubercolosi sembrava dovesse portarlo via in pochi mesi, tant'è che al prete che gli impartiva l'estrema unzione replicò: «Ma perché non ci vai tu nel coro degli angeli?».

All'Accademia d'arte drammatica dovette sfrondare un bel po' di imperfezioni, al punto che il collega Luigi Squarzina venne fuori con un incoraggiante «a te, pigliarti e buttarti dalla finestra non si farebbe nessun danno al teatro». Tutti, Squarzina compreso, ebbero modo di ricredersi, però la strada fu zeppa di ostacoli. Lo supportarono gli amici Paolo Panelli e Tino Buazzelli, e di più ancora la sposa Erminia, vero e proprio baricentro di tutta quanta la sua esistenza. Erminia gli stette accanto quando faticava a emergere nonché quando il suo talento ruppe definitivamente gli argini, palesandolo in film che non conoscono l'usura del tempo quali Il padre di famiglia, C'eravamo tanto amati e Pane e cioccolata, e gli fu vicina anche nelle sfide senza rete tipo Per grazia ricevuta, portato a compimento in barba alle titubanze dei molti che non comprendevano le potenzialità di una storia sul rapporto tormentato con Dio.

«Ma come fai a far ridere la gente» gli domandava la

Magnani, «con quella faccetta normale che ti ritrovi?». Ebbene quella «faccia smarrita», come la descrisse Enzo Biagi, «da finto tonto che inciampa nelle cose e nelle circostanze», finì col conquistare una nazione intera.

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