La nuova normalità secondo la fiction: gay e utero in affitto

Arriva in Italia «The New Normal» che racconta la ricerca di paternità di una coppia omosessuale

La nuova normalità secondo la fiction: gay e utero in affitto

Bryan Collins è un bianco upper class di Beverly Hills. Di mestiere fa il produttore televisivo e dalla vita ha avuto praticamente tutto. I confini della sua infelicità sono segnati da un perfezionismo maniacale e dalla perenne caccia ai vestiti. Ovviamente tolto qualche litigio con il fidanzato David. Insomma è un omosessuale metropolitano e integrato potenzialmente felice. Poi un giorno, proprio mentre fa acquisti, gli capita davanti un bambino in carrozzina... Non capisce più nulla: «La cosa più bella che abbia mai visto». Decide allora di convincere il fidanzato ad avere un figlio. E così parte la complicata ricerca di un utero in affitto. È questo, in soldoni, l'inizio della serie televisiva The New Normal, da settembre in onda negli Stati Uniti sulle frequenze della Nbc e che dal 5 marzo approderà in Italia su Fox (piattaforma Sky).

E tra una gag e l'altra, il tono della serie è quello della commedia sofisticata (l'ideatore è Ryan Murphy l'inventore di Glee). Ai due protagonisti principali interpretati da Justin Bartha (nei panni di David Murray) e Andrew Rannells (nei panni di Bryan Collins) si affianca rapidamente il personaggio di Goldie Forrest (in Clemmons, come si sarebbe detto una volta). Si tratta di una giovane donna (interpretata da Georgia King) con un pessimo marito, tranquillamente etichettabile come un traditore seriale e compulsivo, da cui tenta faticosamente di divorziare. Crescere la sua prima figlia di nove anni le riesce così piuttosto difficile e quindi decide di affittare il suo utero ai due aspiranti «mammi». E mentre i due gay rapidamente quasi la adottano, sua madre Jane «Nana» Forrest (una strepitosa Ellen Barkin) va su tutte le furie per l'utero in prestito e non solo. Insomma interpreta l'America old style che non ci sta con un certo grado di brutalità caricaturale, ma anche con un certo buon senso e buon cuore di fondo. Le reazioni del pubblico a stelle e strisce di fronte a una serie del genere le si poteva ovviamente indovinare anche senza bisogno di una cartomante. Il pubblico delle grandi città, o in generale left wing che applaude, e quello della corn belt con le mani nei capelli (il che si è tradotto automaticamente in una gigantesca pubblicità per il programma). Tanto per dire, nello Utah (la patria dei mormoni), i responsabili della KSL-TV, una associata al network Nbc (dove viene trasmesso lo show), si sono rifiutati di trasmettere il programma, etichettandolo come «inappropriato da vari punti di vista, soprattutto nella fascia oraria dedicata alle famiglie». È andata anche peggio con l'organizzazione «One Million Moms» (un po' il Moige degli americani), che ha addirittura proposto il boicottaggio: «La NBC sta utilizzando frequenze televisive pubbliche per sottoporre le famiglie americane al decadimento della morale e dei valori, e minare la santità del matrimonio nel tentativo di ridefinire il matrimonio».

In realtà la serie pur piombando a gamba tesa su un tema molto sensibile non è la prima a toccare questo tasto. Basta ricordare Modern Family dove già c'era una coppia gay che adotta un bambino, oppure anche serie meno tematiche come Scandal, dove il capo dello staff della Casa Bianca (e per di più conservatore) è gay e litiga col compagno giornalista proprio per questioni di paternità. O, ancora, Grey's Anatomy dove una coppia lesbica cresce la bambina nata da uno strano, ma felice, ménage à trois. Certo qui la questione è molto più al centro della trama e poi pesa quel «Normal» del titolo che a molti è suonato come un manifesto, e si sa (in Italia ne abbiamo un sacco di esempi) che la comicità con i manifesti va malissimo a braccetto.

L'impressione guardando la serie, che a tratti diverte, è che forse sia un po' presto per raccontare il tema così alla leggera. E che a furia di giocare con gli stereotipi o con il rovescio degli stereotipi non si arrivi mai al fondo delle questioni vere. Certo non si può pretendere da una commedia la chiave per interpretare lo spirito del tempo (ci riuscì forse solo Indovina chi viene a cena?) ma in questo caso la provocazione, voluta, pesa tanto.

Forse troppo. E un pezzo di pubblico non ci sta. In Glee il vissuto e le idee di Ryan Murphy (gay dichiarato passato per un difficile percorso di accettazione) si stemperavano in una trama varia e musicarella, qui molto meno.

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