Ora la lotta di classe trasloca nello spazio

Ora la lotta di classe trasloca nello spazio

Certo non si può non dire che non sia un autore coerente. Neill Blomkamp, 33enne regista sudafricano ma canadese d'adozione, ha ottenuto un enorme successo negli Stati Uniti nel 2009 con District 9 film fantascientifico solo apparentemente a basso budget - costato in realtà 30 milioni di dollari - che ha portato nelle tasche dei produttori qualcosa come 200 milioni e al regista due candidature all'Oscar per film e sceneggiatura. Produttori che hanno tentato in tutti i modi di fargli fare immediatamente un sequel. Lui ancora non si è fatto convincere, preferendo girare una storia nuova - Elysium dal 29 agosto nelle sale - anche se non ha rinunciato a molti dei temi politici e sociali di District 9. Così se in quel film sparigliava il genere e sorprendeva trasformando gli umani in cattivi che tenevano segregati gli alieni giunti sulla terra in campi profughi in regime di apartheid (come in Sudafrica), ora Blomkamp si immagina un futuro distopico, nel 2154, con gli uomini divisi in due mondi distinti e separati: una terra sovrappopolata e alla deriva e Elysium, una perfetta e mastodontica stazione spaziale per multimilionari che non vogliono cambiare stile di vita (grandi ville, piscine, aree verdi...) e anzi si proiettano verso l'immortalità grazie a strutture mediche in grado di curare qualsiasi malattia.
È evidente che dalla terra, vedendo nello spazio quei meravigliosi campi elisi, siano in molti a tentare la fuga verso Elysium. In prima fila c'è Max, interpretato da Matt Damon, che in seguito a un grave incidente in fabbrica è stato esposto a radiazioni fortissime e ora ha pochi giorni di vita. La sua sarà una corsa contro il tempo perché a fermare i viaggi della speranza, con ogni mezzo e complotto politico, c'è il segretario di Stato Delacourt, interpretato da una Jodie Foster che più cattiva non si può, a cui è stato dato il compito di tenere fuori i migranti dal paradiso per ricchi.
Tutto il mondo è paese (dai migranti del Mediterraneo a quelli del confine tra Messico e Stati Uniti), così - suggerisce il regista nelle note di produzione - «il film è un'allegoria del tema del divario tra ricchi e poveri e di come incide sull'immigrazione e penso che più scendiamo in basso più il mondo sarà simile a quello di Elysium. In questo senso credo che le domande che suscita il film siano più che mai attuali».

Peccato che la risposte siano affidate a un buonismo di fondo sdolcinato e la distinzione tra buoni e cattivi sia fin troppo stereotipata. Mentre la cosa che fa più impressione è che per mettere in scena una Los Angeles degradata e allo stremo il regista non ha dovuto fare ricorso a effetti speciali, gli è bastato andare a girare a Città del Messico.

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