Lei non è andata in onda per un solo giorno, lunedì scorso. Martedì, dopo gli accertamenti, le autorità sanitarie hanno stabilito che si poteva continuare: Serena Bortone nella sua Agorà, al mattino su Raitre, aveva avuto una decina di giorni fa tra gli ospiti Anna Ascani, vice ministro dell'Istruzione, risultata positiva al Coronavirus. E quando lo si è saputo, come per altri programmi, si era scelto di sospendere.
Serena, avevi temuto di chiudere il programma?
«Temuto non è una parola che mi appartiene. La priorità è la salute, non tanto la mia, quanto di chi mi sta vicino. Ciò detto, nel rispetto delle regole previste, tra cui fondamentale è il distanziamento, sono contenta che Agorà sia tornato in onda. Il servizio pubblico è fondamentale».
Ti senti addosso una grande responsabilità. Tutte le tv sono in prima linea, ma la Rai lo è ancor di più, perché diventa un collante del Paese...
«Assolutamente. Ogni mattina quando entro in studio, sento l'enorme importanza del nostro lavoro. Dobbiamo informare con severità ma anche con calma, senza trasmettere panico. Chiarezza e sorriso sono gli elementi fondamentali da trasferire a chi ci ascolta».
Non è semplice...
«Infatti, nostro compito è aiutare il cittadino a districarsi sia nella comprensione delle misure sanitarie da prendere, sia nell'evoluzione della ricerca medica che sta studiando i possibili rimedi, sia nelle disposizioni governative. Dobbiamo comunicare che lo sforzo che i cittadini stanno affrontando è per il bene di ognuno, dei propri cari e di tutti».
Fondamentale è anche contribuire a fare chiarezza nel diluvio di notizie
«Infatti. Tra tv, social, web stanno circolando tante fake news. Per questo, ogni giorno, con un esperto, rispondiamo alle domande e smontiamo le sciocchezze. Fin da subito, da quando arrivarono le prime notizie dalla Cina, decidemmo di aprire una finestra nel programma. Poi non ci siamo più fermati».
Gli spettatori hanno voglia anche di calore, di solidarietà
«È il nostro core business da sempre, mettere in contatto il territorio, le fragilità locali, con la politica. E lo abbiamo accentuato in questa emergenza. Ci siamo attivati per raggiungere le persone chiuse in casa, e i medici e gli infermieri negli ospedali che raccontano la situazione drammatica che stanno affrontando».
Non solo bollettino di guerra, anche consigli utili e messaggi positivi
«Mai come ora in tv arrivano esempi di solidarietà. Per esempio, noi ci colleghiamo tutte le mattine con Roberto Cighetti, insegnante di scienze di Codogno, che ci racconta come prepara le lezioni per i suoi studenti, ci fa vedere la sua famiglia, ci parla dei preparativi del matrimonio del fratello. Oppure sentiamo lo psicanalista positivo al virus che, da casa, si collega con i suoi pazienti».
Pensi che Skype e degli altri mezzi di collegamento siano di grande aiuto?
«Certo, utili e anche di buon esempio, visto che le autorità sanitarie ci chiedono di non andare in giro. Le immagini non saranno perfette però in questa situazione arrivare al maggior numero di persone possibile è più importante della qualità del video. Anche il semplice telefono è efficacissimo».
Però molti inviati sono ancora sul campo
«E li ringrazio e ne ammiro il coraggio. Come quello di chi resta negli studi a garantire le trasmissioni. Del resto l'alternativa sarebbe togliere alla gente l'informazione. La nostra squadra ora lavora in smart working. I nostri inviati osservano tutte le precauzioni necessarie e quando torneranno a Roma dovranno stare in quarantena».
Le forme di agilità sperimentate potrebbero cambiare il modo di fare informazione?
«Beh, ricordiamoci che la tv di Stato ha sedi in tutti i capoluoghi. E dotazioni che garantiscono qualità dell'immagine. Ma è una sperimentazione utile soprattutto nelle situazioni di emergenza».
Cosa rappresenta la Tv in tutto questo?
«La Rai, si sa, è lo specchio del Paese. Il Coronavirus mette insieme due elementi diversi rispetto al passato: la paura (dell'altro) e il controllo (contro il diffondersi del virus). Noi riusciremo a vincere questa battaglia se supereremo l'elemento della paura. E per fare questo dobbiamo rispettare le regole che ci hanno dato.
Mi viene in mente Cecità di Saramago che racconta di un contagio attraverso gli occhi: se innestiamo una guerra uno contro l'altro abbiamo solo da perdere. Se usiamo la ragione e la tolleranza, se mettiamo a disposizione azione e sentimenti in un momento in cui non possiamo condividere nulla, come paese ne usciremo più forti di prima».
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