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"Oxygene", il thriller sci-fi di Netflix, è cerebrale e claustrofobico

Un survival-movie francese che vede in scena un solo personaggio armato di istinto, ingegno e pochi nebulosi ricordi. Un film intrigante, plausibile (per un po’) e dal divertimento ansiogeno

"Oxygene", il thriller sci-fi di Netflix, è cerebrale e claustrofobico

Esce oggi Oxygene, nuovo film targato Netflix Original che è capace di avvincere lo spettatore in una morsa di tensione dall’inizio alla fine.

Difficile raccontare qualcosa della trama senza incorrere in spoiler, quindi basti sapere che l’incipit vede una donna (Mélanie Laurent) svegliarsi in una camera criogenica futuristica senza avere idea di chi sia e del perché si trovi bloccata lì dentro. L’unica speranza di capire come uscire da quella situazione prima che finisca l’ossigeno a disposizione, risiede nel collegamento con un’interfaccia artificiale che si fa chiamare Milo. La donna (denominata da Milo “bioforma Omicron-267”) intervalla domande e ragionamenti a momenti di panico e sconforto. Ricomporre in un’ora un puzzle di flashback mnemonici non è facile dal momento che la progressiva rarefazione dell’aria non esclude che si tratti di allucinazioni anziché di frammenti di vita vissuta.

Non capita spesso che un film già peculiare, in quanto caratterizzato da unità di luogo e di tempo, veda in scena un unico personaggio. Il richiamo più immediato, vista l’ambientazione angusta e la situazione angosciante, è a “Buried” di Rodrigo Cortés (2010). Il valore aggiunto di “Oxygene”, però, sta nel non permetterci di capire, fino all’ultimo, se ci troviamo ad osservare una futura tomba o il grembo da cui verrà partorita una salvezza.

Alexandre Aja, il regista, gestisce benissimo le inquadrature nonostante siano sostanzialmente sempre le stesse: svolgendosi la narrazione in una sorta di capsula del sonno, lo sguardo è fisso su primissimi piani della protagonista e poi, una volta che questa si è parzialmente liberata da un congegno che le stringe la vita e da cavi che le immobilizzano i piedi, si sposta sempre più in soggettiva.

L’immedesimazione funziona: è indubbio che ci si domandi per buona parte del tempo che cosa si farebbe trovandosi in tale situazione. Il ripetuto conto alla rovescia relativo alla riserva d’ossigeno è una spada di Damocle che resta impossibile da dimenticare, anche quando l’attenzione pare tutta rivolta ad elaborare domande giuste e a setacciare informazioni. L’interazione con un’intelligenza artificiale, la connessione internet e la velocità di ragionamento sono le uniche risorse per sopravvivere.

Dopo alcuni colpi di scena che rivelano dove si trovi la capsula, la sospensione dell’incredulità necessita di essere rafforzata, ma la suspense non ne risente. Con pochissimi ingredienti, come un design ricercato, l’espressività della protagonista e il ritmo all’ultimo respiro, “Oxygene” costruisce un pathos che non conosce pause.

Un labirinto mentale in cui è gradevole prima perdersi e poi cercare la via d’uscita e in cui ogni ostacolo stimola il ragionamento, diventando quindi un’opportunità di risoluzione del mistero.

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