In poche parole, Paola Turci ha saputo rinascere un'altra volta. E il suo nuovo disco, Viva da morire, è la conferma di una maturità ispirata frutto di un percorso sofferto e di uno spessore artistico difficile da smentire. «E dire che non era un disco previsto, però ora me lo coccolo come un figlio», spiega lei allargando uno dei suoi sorrisi prima di presentare qualche canzone con Beppe Fiorello.
Da Le Olimpiadi di tutti i giorni fino a Io l'amore no c'è una fotografia essenziale ma piena di colori di quella che è oggi Paola Turci. Il merito è anche della produzione (e dell'amicizia) con il grande Luca Chiaravalli con il quale «ci siamo incontrati sul piano umano, condividendo il modo in cui reagire a un grave imprevisto». Tanti anni fa Paola Turci ha avuto un grave incidente stradale, invece Chiaravalli ha avuto «un inciampo che gli ha messo in pericolo la vita» ma insieme hanno realizzato un disco che è tutt'altro da sopravvissuti: «Niente è una sfiga soltanto, magari può sembrarlo ma è un'occasione per sentirsi vivi, è un'opportunità diversa e importante». Il risultato, diciamolo, si sente in quello che è il miglior disco della Turci da tanto tempo. «Dici?». Proprio così.
Però, Paola Turci, perché in gara a Sanremo si è presentata con L'ultimo ostacolo e non con Viva da morire, che è il fortissimo nuovo singolo?
«La verità? Viva da morire è nata fuori tempo massimo rispetto a Sanremo e, anzi, era destinata a J-Ax. Ma quando l'ho cantata per la prima volta, ho capito che quello avrebbe dovuto essere anche il titolo del disco».
Viva da morire è un ossimoro, un conflitto da realtà all'apparenza inconciliabili: la vita e la morte.
«Ho sempre avuto fastidio quando mi compativano per il mio incidente. Non è facile capirlo, ma la disgrazie spesso sono opportunità. Nella mia vita, ho conosciuto tante persone vittime di incidenti stradali che si sono imbruttite per il dolore o la disperazione. Io no».
Le sue sono Olimpiadi di tutti i giorni, come recita un titolo.
«Ho iniziato a pensare a questo concetto quando ho portato a teatro Mi amerò lo stesso. È stato un lavoro di tutti i giorni, duro, faticoso. A teatro ho preso consapevolezza di questa realtà. E anche oggi, mi devo tenere in forma, allenandomi e mangiando correttamente: anche questa è una olimpiade quotidiana, in un certo senso. Nel brano c'è uno strepitoso Shade, un rapper campione di freestyle che mette sempre sostanza nelle proprie rime. È un giovanissimo che si impegna, studia e non perde mai di vista l'arte. All'inizio avevo pensato di coinvolgere Stromae, ma mi dicono che si è ritirato dalla scena musicale»
In Non ho mai c'è la firma di Nek.
«E lui ha pure suonato il riff di chitarra. È un polistrumentista molto bravo ed è un peccato che magari tanti non lo sappiano».
Cosa c'è nell'Ultimo ostacolo?
«Un brano importante, nel quale torno all'ultimo respiro di mio padre e sogno di averlo ancora accanto, evocando la figura del supereroe, quello che, a pensarlo vicino a te, ti aiuta a sentirti più libera».
Le differenze tra i suoi due ultimi Festival?
«Stavolta è stato più difficile al confronto di quello del 2017. Allora ero un treno, una roccia. Stavolta avevo qualche problemino con la cervicale ed ero piena di iniezioni. In più ho percepito molta tensione nell'ambiente».
L'arte di ricominciare è ispirata dalla vicenda di Lucia Annibali, l'avvocatessa di Pesaro sfregiata con l'acido nel 2013.
«Quella canzone era un'appendice del penultimo album Secondo cuore e, quando mi è arrivata, ha aperto un nuovo capitolo tutto da scrivere. È stata l'origine di questo disco».
Cosa pensa della proposta del leghista Alessandro Morelli di trasmettere per legge in radio un brano italiano su tre?
«Mi sembra
che la situazione sia più o meno già questa. Se si cita una simile legge francese, bisogna citare anche la grande politica dei francesi a sostegno della cultura, altrimenti sono paragoni che non rendono bene la situazione».
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