Cultura e Spettacoli

«Le parole sono importanti E non solo per vendere idee»

Lo scrittore-insegnante dedica il nuovo saggio all'uso della lingua: «Trattatela come un essere umano»

Stefania Vitulli

Il primo merito del nuovo libro, piccolo ma pieno di muscoli, di Marco Balzano, scrittore milanese autore tra l'altro del pluripremiato Resto qui (Einaudi) e professore di liceo, è nel titolo: Le parole sono importanti (Einaudi, pagg. 86, euro 12) finalmente porta un concetto culturale cardine fuori dal ghetto dove è rimasto rinchiuso per trent'anni: quello della citazione - il più delle volte a sproposito - della battuta di Nanni Moretti nol film Palombella rossa. La struttura è semplice ma non banale. Divertente, Confine, Felicità, Social, Memoria, Scuola, Contento, Fiducia, Parola, Resistenza: dieci parole italiane (perché alla fine anche social viene inteso come «sociale») attraversate a partire dalla loro etimologia, come fossero oggetti di cui è necessario comprendere materiali, destinazione e storia prima di affrontarne l'uso. Le stesse parole insomma fanno bene o fanno male, proprio come un coltello, se usato per tagliare il pane o per uccidere.

Come è nato questo libro?

«Durante una presentazione del mio romanzo al Salone di Torino mi sono messo a parlare di etimologia e il mio editore ha capito subito che da lì poteva nascere un libro. Avevo una bella miniera di materiale, quello che uso anche per la scuola e, dopo il premio Strega, una gran voglia di prendere una boccata d'aria fuori dalla narrativa».

Dieci parole sembrano poche per dimostrare che «le parole sono importanti».

«Non è poi così importante la scelta delle parole in sé. Il messaggio dietro a questo libro è: scegliete le parole che vi appartengono di più e fate in modo che vi appartengano veramente. Trattate le parole con un essere umano perché, nel momento in cui mi sei caro, mi interesso al tuo passato, al tuo lato oscuro, alle abitudini, ai picchi».

Il che di solito non accade, con le parole.

«Politica, media e pubblicità usano le stesse parole che ho scelto con accezioni molto specifiche. Invece vogliono dire altro, o molto di più».

Il rischio è l'impoverimento?

«Il rischio è che per mille ragioni - tecnologia, frenesia, livello politico basso - le semplificazioni e i populismi facciano sì che le parole vengano piegate solo verso accezioni propagandistiche o commerciali».

Il che è sempre accaduto.

«Vero, ma parlare di etimologia oggi significa affacciarsi sul presente e intervenire nella comunità linguistica di cui tutti facciamo parte, perché la lingua è cosa viva».

Etimologia come azione politica.

«Non ho mai scritto un libro più politico di questo. Se la politica è l'insieme di regole che ci permettono una convivenza migliore, la lingua è inevitabilmente politica e l'etimologia ha una dimensione potrei dire militante. Serve a mantenere consapevolezza e senso critico: non subisco più la lingua, ma posso considerarne il degrado con attenzione».

Qualche esempio preso dal libro: Memoria.

«Non va confusa con cose simili, come i ricordi, che hanno come radice il cuore. Memoria deriva da un verbo greco che introduce progettualità e capacità di organizzare il pensiero; le memorie sono un genere letterario, una sintesi tra quello che vivo e quello che so e l'abilità nel raccontarlo. Quindi la memoria non è legata al passato, ma serve a ordinare e leggere la mia esperienza nel complesso. Oggi memoria indica anche un hardware, ovvero un magazzino. Ma se le memorie artificiali ricordano anche ciò che noi dimentichiamo, la memoria umana è l'unica che può selezionare ciò che realmente continua ad avere un valore».

Social.

«Deriva dal latino Socio, che vuol dire compagno, alleato. Oggi invece quando siamo social siamo sempre da soli. Lo dico senza giudizio moralistico, ma come cosa che va saputa per capire come le parole ci vengono proposte e come si sia verificata una modificazione genetica: amicizia - che è una cosa che si fa avendo la stessa radice di amore - nel mondo social diventa una cosa che si dà, si chiede e si riceve e quindi non implica più orizzontalità e parità nel rapporto. Così accade per la condivisione: non stai dividendo una cosa con qualcuno, la stai moltiplicando».

E infine, Felicità.

«Parola difficile, perché per ciascuno di noi è una cosa diversa. La parola deriva da felo, latino, che vuol dire succhiare il seno. Dunque non solo è una parola femminile, ma materna. Come diceva Aristotele: Si può essere ricchi da soli, ma felici almeno in due. Questa parola implica l'altro, la cura di un'altra vita.

Può far bene saperlo, ci dà un godimento intellettuale e ci complica, piacevolmente, la vita: può darsi che grazie a questa consapevolezza per molti di noi nel pensare alla felicità, qualcosa cambi».

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