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Il "patto Hitler-Stalin"? Firmato già 20 mesi prima

Nuovi documenti rivelano: nel gennaio 1938 Mosca restituì a Berlino 45 rifugiati in Ucraina

Il "patto Hitler-Stalin"? Firmato già 20 mesi prima

Quarantacinque nomi pesanti come macigni. Sono quelli contenuti nel «Protocollo Due Ezhov-Vyshinskij», appena riemerso dopo novant'anni di silenzio dagli archivi del Kgb in Ucraina. Firmato dai più lugubri esecutori del terrore staliniano, il capo dei servizi segreti e il procuratore che istruì i grandi processi, contiene le biografie di chi, dopo essersi rifugiato in Unione Sovietica per sfuggire a Hitler, venne rispedito a Berlino con tante scuse per il fastidio recato al Reich e molti auguri di pronta esecuzione sommaria. Nel documento, rivelato dal giornalista Dmitri Volchek di Radio Liberty, vengono indicati con precisione l'ora di arrivo, il luogo della consegna e il numero dei deportati.

Che il vero regista dell'operazione fosse Stalin stesso potrebbe sembrare ovvio: la storiografia ci ha ormai abituati a considerare i due «gemelli totalitari» rosso e bruno come strettamente associati nello stile di comando, nella tecnica di controllo e nell'efferatezza. Ma il vero motivo di interesse del documento firmato da Ezhov e Vyshinskij risiede nella data: 5 gennaio 1938, più di un anno e mezzo prima della entrata in vigore della alleanza fra Mosca e Berlino. È dunque certo che i due dittatori, e in particolare Stalin, avessero già messo a punto le rispettive strategie di sostegno reciproco, benché ufficialmente le propagande dei due regimi lasciassero intendere tutt'altro.

Quarantacinque uomini e donne, dunque, per la maggior parte tedeschi e austriaci, ma non pochi anche originari del Centro Europa. Come ad esempio l'imprenditore berlinese Max Zucker: antinazista, dopo la presa del potere di Hitler decise di raggiungere il figlio, che già viveva in Unione Sovietica. Ma la decisione gli fu fatale: arrestato dalla Nkvd (il servizio segreto sovietico antenato del Kgb) nel 1937 con l'accusa di spionaggio, accompagnato sino al confine del Reich e là preso in consegna dagli ufficiali della Gestapo. In seguito le stazioni del suo calvario furono segnate dal dolore e dalla disperazione: come ebreo e originario della Polonia venne inviato al ghetto di Varsavia, ma ancora prima di raggiungerlo morì a causa delle percosse ricevute dalle SS.

Oggi l'importanza del documento scoperto in Ucraina è paragonabile, potremmo dire, alla «prova della pistola fumante»: tutti gli indizi e i racconti disponibili fino ad ora sulla intesa sotterranea fra Hitler e Stalin trovano un terreno solido su cui è possibile poggiare ulteriori considerazioni e interpretazioni. Ed è significativo che, a questo riguardo, rimangano invece secretati gli archivi del Kgb in Russia e quelli della Stasi, il servizio segreto della Germania comunista. Da là, certamente, potrebbero emergere particolari inediti e altre prove inconfutabili. Ma i tempi non sono maturi, almeno sul versante di Mosca: nonostante tutte le rivelazioni, i sondaggi in Russia continuano a documentare la devozione di un cittadino su cinque alla memoria del «Piccolo Padre» georgiano, e l'apprezzamento di quasi la metà - comprese evidentemente le generazioni successive alla caduta dell'Urss - per l'opera e l'eredità storica del dittatore. Si plaude al ruolo di potenza globale conseguito dal capo del Cremlino, ma soprattutto gli si rende omaggio per la liberazione dal nazifascismo al termine della seconda guerra mondiale. Ora però, questa costruzione ottimistica rischia di cadere in pezzi, scossa fin nelle fondamenta dalla vergognosa rivelazione di complicità col nemico.

Tuttavia, come si sa, la verità una volta uscita dal pozzo è difficile da imprigionare: così uno storico tedesco, Wilhelm Mensing, dopo aver pubblicato vari saggi sull'argomento ha creato un sito web sulla NKVD e sulla Gestapo, dove si possono ricostruire le tragedie di tanti malcapitati, simili a quella di Max Zucker, sacrificati come forma di baratto fra i due dittatori. Per la maggior parte le consegne dei sovietici ai nazisti, naturalmente, furono successive al patto Molotov-Ribbentrop dell'agosto 1939, e accompagnate da numerose «conferenze congiunte» in cui i dirigenti dei due servizi segreti concordavano le procedure per l'eliminazione dei prigionieri scomodi, a cominciare dagli appartenenti alla resistenza polacca dopo l'occupazione e la spartizione del Paese. Ma centinaia di deportazioni non citate nel Protocollo Due, secondo Mensing, precedettero quelle intese ufficiali.

Di che si trattò, allora? Fu una specie di affinità elettiva a guidare la mano di Hitler e Stalin, simile a quella che, in una pagina famosa del romanzo Vita e destino di Vasilij Grossman, si fa strada nella mente dell'ufficiale nazista e del prigioniero sovietico durante la battaglia di Stalingrado? O è giusto invece risalire molto più indietro, ai primi anni successivi alla Grande Guerra, descritti dall'ex membro dei servizi segreti sovietici Viktor Suvorov, poi fuggito in Gran Bretagna? Dobbiamo considerare sotto un'altra luce le testimonianze dirette sui campi militari allestiti nell'Urss di Stalin per addestrare i soldati tedeschi, di cui erano testimonianza le torri di allenamento per paracadutisti sparse in varie zone del Paese? E che dire della definizione segreta di «ledokol», cioè «rompighiaccio», che circolava nelle élite sovietiche a indicare il ruolo distruttivo che Hitler avrebbe potuto svolgere ai danni delle democrazie occidentali a tutto vantaggio di una successiva conquista sovietica?

Ogni tessera del mosaico, alla luce dei nuovi documenti, sembra trovare la sua giusta collocazione. Anche la definizione di Stalin come allievo diligente di Marx e Lenin, banditore quest'ultimo di una rivoluzione bolscevica mondiale, celebrata nel 1936 con la composizione dell'inno guerresco Sollevati immenso paese!.

E persino il racconto allucinante di Margarete Buber-Neumann in Prigioniera di Stalin e Hitler - in cui documenta somiglianze e differenze fra gulag sovietico e lager nazista, da lei sperimentati uno dopo l'altro - smette di apparirci come un evento incomprensibile e paradossale, trova spiegazione e un nuovo significato nelle storie di coloro che la accompagnarono lungo lo stesso calvario.

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