È il ragazzo che suona il pianoforte per strada, fra le macerie di Damasco. In mezzo alle case bombardate di Yarmouk, il quartiere dei rifugiati palestinesi, come la sua famiglia. Si chiama Aeham Ahmad, oggi ha trent'anni e vive in Germania. È rifugiato, con la moglie e i due figli piccoli, ha un appartamento a Wiesbaden, fa concerti in tutto il mondo. A fine mese sarà in Giappone, in questi giorni è a Milano. Aeham Ahmad, rifugiato due volte, si raccomanda di non suonare una melodia troppo dolce. Di non dipingere quella fotografia, proprio quella scattata da Niraz Saied che l'ha reso una celebrità e un simbolo della guerra e della speranza e tutta le retorica che una immagine così potente si può portare appresso, come ciò che non è: «Quando soffri la fame da giorni, non hai niente da mangiare, devi fare ore di coda per prendere l'acqua e hai le dita tagliate da una granata, non hai speranza: aspetti solo di morire. Questo facevamo, a Yarmouk. Questo ero io. Ma quelli che ti vedono, quelli che guardano i video su YouTube e le fotografie e vedono questo ragazzo che suona in mezzo alle case distrutte, loro sì che hanno speranza, pensano che quel ragazzo stia facendo la rivoluzione. Quel messaggio di speranza lo senti dagli altri, perché tu non ne hai. Pensi solo che morirai. Poi sono arrivati i giornalisti, una reporter tedesca mi ha chiamato e mi ha aiutato e allora io ho capito che potevo fare qualcosa per i miei figli, per alleviare il loro dolore».
Aeham Ahmad racconta la sua storia - quella che la fotografia famosa non racconta per intero - in Il pianista di Yarmouk (La nave di Teseo, pagg. 350, euro 20). Inizia da quando è un bambino per le strade di Yarmouk e guida il padre cieco, falegname e musicista per passione, il quale lo accompagna ogni giorno, per anni, alla Scuola statale di musica (dall'altra parte di Damasco), perché Aeham deve imparare a suonare il pianoforte. Il padre spende tutti i risparmi di famiglia per comprargli un vecchio Ukraina: è quello il pianoforte che Aeham trascina in strada, facendo lo slalom fra i cecchini e i barbuti, nella Yarmouk ormai sotto assedio da due anni, devastata dalla guerra, dalla fame, dalle bombe, dal fanatismo. Come gli è venuta l'idea di mettere in piedi un'orchestra di strada? «Avevo bisogno di essere libero, di suonare il mio pianoforte, senza alcun supporto da nessuno». Per la pianola, per dire, serve l'elettricità: ed elettricità significa avere un debito con qualcuno, del governo o dell'Isis o di Hamas... Invece con il suo Ukraina, Aeham è indipendente. «Ho provato con un amico, Marwan, e abbiamo visto che le persone erano contente; e il giorno dopo lo erano ancora di più. Così ci siamo detti: facciamolo. Ogni volta che suonavamo e cantavamo insieme si creava un senso di comunità, le persone amavano cantare con me. Poi, alla fine, mi sono ritrovato da solo, quando giravano quei video che poi finivano su YouTube: volevo smettere, erano nove mesi che suonavamo nelle strade. E proprio allora, quando ero da solo, venne a fotografarmi Niraz Saied; che oggi è scomparso, come mio fratello 'Ala: di loro non si hanno più notizie».
Era il 2014. Per sei mesi «folli» Aeham aveva suonato e cantato per le strade, la gente gli portava poesie che lui trasformava in melodie e che tutti capivano, perché parlavano della vita a Yarmouk, della Siria «della rivoluzione, o della guerra, a seconda di come si vuole chiamare». Poi un giorno, in agosto, arrivò Zeinab, dodici anni, appassionata di rap, a chiamarlo dalla strada: «Ero al primo piano, lei era giù che mi gridava: Vieni, dobbiamo suonare. Io non volevo, poi con Marwan siamo scesi. Lei voleva andare in una strada dove non eravamo mai stati, perché lì abitava suo nonna. Abbiamo trascinato il piano, poi ho chiuso gli occhi, ho iniziato a suonare, le ragazze cantavano, cantavano... Bum. Come posso descriverlo? Mi sento in colpa ogni giorno per Zeinab. Mi punisce da dentro. Era un posto pericoloso, bisogna sapere dove stanno i cecchini prima di andare in una strada, ma quel giorno eravamo stanchi, arrabbiati». Il pianoforte non voleva più suonarlo. Poi l'ha dipinto di bianco. Poi, un giorno, ha cercato di salvarlo, insieme a molti altri strumenti del suo negozio (che oggi è sigillato e murato, con dentro migliaia di liuti), portandolo a Yalda, un quartiere confinante, ma meno disastrato di Yarmouk, sfinita dall'assedio: «Era l'aprile del 2015, il giorno del mio ventisettesimo compleanno. Un soldato dell'Isis disse che mi aveva visto suonare il piano per strada. Ancora una volta fu mio padre a salvarmi, a ridarmi la vita: disse che il piano era suo e non mi conosceva. Io scappai. Se non fosse stato per mio padre sarei finito in uno di quei video dell'Isis, con la maglia arancione... Lui era vecchio, a loro non interessava ucciderlo: perché per loro l'importante è uccidere i giovani. Renderli paurosi di tutto, anche di combattere. È questa la catastrofe dei giovani in Siria, oggi: stanno rintanati in un cantuccio, terrorizzati, bloccati. Oppure scappano». Il vecchio Ukraina ridipinto di bianco è stato bruciato.
Aeham Ahmad è vivo: «È successo, ma non so perché sia qui con voi. È impossibile. Forse mio padre, da cieco, ha un rapporto speciale con Dio, e ci ha aiutato. Sono stato molto fortunato. Mi dico: come ne sono uscito? Ancora non capisco». Il suo senso di colpa è fortissimo: perché suo padre e sua madre non hanno voluto lasciare Yarmouk, e non sa se li rivedrà. Perché di suo fratello 'Ala non ha notizie da sei anni. Perché il suo amico Raed è riuscito ad arrivare in Germania, ma l'altro amico, Marwan, è ancora a Yarmouk, e soltanto ieri gli ha mandato le foto delle due figlie piccole e gli ha detto: «Non me ne vado. Non parlarmi di andare via. Io morirò qui. E non spedire troppi Whatsapp, che il telefono costa». Perché suo zio, rifugiato anche lui come altri centinaia di migliaia accolti da Frau Merkel, non riesce proprio a imparare il tedesco - e superare i corsi di tedesco è obbligatorio, altrimenti finisci senza sussidio e senza casa. Perché Zeinab è morta a due passi dal suo pianoforte, mentre cantava, a dodici anni. Perché è rimasto a Yarmouk troppo a lungo, prima di scappare, e uno dei suoi due figli sarebbe potuto morire durante la guerra: «E allora mi sarei ucciso». E invece: «Vedo tutte queste immagini che scorrono davanti ai miei occhi, come un film, e ora sono qui a Milano, con un cappuccino e il mio libro appena pubblicato. Vede le mie dita? Sono state tagliate. Ora suono al dieci per cento: non riesco più a suonare Rachmaninov, Chopin, Liszt. Un dottore in Germania mi ha detto che è impossibile che me le abbiano aggiustate.
E sa chi me le ha aggiustate? Un buon falegname, perché i dottori, quelli veri, erano tutti scappati». A Yarmouk c'erano 650mila persone, oggi ne restano cinquemila. Ci sono duecento combattenti dell'Isis. «Sarà tutto distrutto, lo so. Non fatela sembrare troppo dolce».
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