Robert Plant continua a giocare all'angelo vendicatore delle radici rock, troppo spesso strapazzate in nome di una (presunta) modernità. Lui è un po' come Gustav Meyrink, che nel suo libro L'angelo della finestra d'occidente, attraverso un gioco di reincarnazioni , fa vivere mille vite al matematico-filosofo-mago John Dee. Plant è l'unico dei Led Zeppelin ad essersi cucito addosso un nuovo abito senza abiurare la sua storia. Jimmy Page sta lavorando al progetto di ripubblicazione e remasterizzazione dei dischi degli Zeppelin ( Zeppelin IV e Houses of the Holy con inediti usciranno il 28 ottobre) mentre Plant continua a catturare la musica che gira intorno; oggi come allora la sua musica è un rito che vive sull'invocazione e la trasmutazione di energie. Lo dimostra il nuovo album, Lullaby...and the Ceaseless Roar, coacervo di suoni africani, di ballate angloirlandesi , di spruzzi di elettronica, di elucubrazioni ritmiche e di spiazzanti melodie, eseguite con l'aiuto dei Sensational Space Shifters (artisti come Justin Adams che utilizzano la chitarra quanto strumenti africani come il bendir e il djembe o Juldeh Camara al kologo e al rite o ancora John Baggott che unisce al pianoforte il moog).
«È un album davvero celebrativo, potente, coraggioso - dice Plant - la Trance che incontra gli Zeppelin. La spinta nella mia vita da cantante è stata sempre quella di essere guidato da una buona amicizia. Sono davvero fortunato a lavorare con i Sensational Space Shifters. Arrivano tutti da aree molto interessanti della musica contemporanea. Sono in giro da un po' e mi sono chiesto, ho qualcosa da dire? Ho ancora delle canzoni dentro di me? Nel mio cuore? Ho osservato la vita e quello che mi succede. Lungo il percorso ci sono attese, delusioni, felicità, domande e relazioni forti...Ora sono in grado di esprimere i miei sentimenti attraverso la melodia, l'energia e la trance, tutte insieme in un caleidoscopio di suoni, colori e amicizie».
Lullaby è la continuazione , o meglio l'attualizzazione di album del 2002 come Dreamland, registrato nel deserto africano con una band marocchina. Qui però i vari stili si fondono in un cocktail unico in cui nessun sapore prevale, come nell'ipnotica Up On the Hollow Hill, nelle tribali (dove i ritmi africani incontrano il folk inglese) Little Maggie e Embrace Anothe r Fall. Tra Dreamland e Lullaby sono passati due album significativi come Raising Sand (vincitore di sei Grammy in coppia con la cantante country Allison Krauss) e Band of Joy (il ritorno con la sua band delle origini), tutti progetti diversi ma legati da un filo rosso comune, la voglia di sperimentare partendo dal blues e dal rock. «Sono sempre stato un cantante di rock'n'roll, non di rock e rivendico le mie origini, i grandi festival, la musica dura ed elettrica. Ma le cose cambiano e a me piace guardare al futuro». Così è chiara anche la sua visione della musica etnica (o world music) oggi tanto usata e abusata in tutte le salse. «La world music non è uno scrigno da cui rubare, ma dev'essere un incontro armonico di psichedelia, California anni Sessanta e vari linguaggi folklorici». Così si spiega la bella alternanza tra brani come la ballata dai sapori country rock House of Love e i riff ritmati e rockeggianti di Turn It Up incastonati tra le note lente e riflessive della poetica Stolen Kiss.
Il suo suono (naturalmente non
ha la potenza devastante di un tempo) ma è una miscela di sensualità e spiritualità, di furore e raccoglimento, di nenie orientali e deliri elettronici che parte sempre dal blues e dalle vette hard rock del «dirigibile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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