Cultura e Spettacoli

La poesia (nascosta) di Cavalleri

Critico e amico di letterati, nel cassetto aveva un "tesoro" in versi

La poesia (nascosta) di Cavalleri

Cesare Cavalleri, direttore delle Edizioni Ares e di Studi Cattolici, lettore generoso e feroce, ha nascosto per decenni una raccolta di poesie nel cassetto. «Non scrivo poesie dal 1963. Uno dei meriti della Neoavanguardia è stato quello di farmi smettere», ha detto a Jacopo Guerriero in un libro intervista, Per vivere meglio, pubblicato due anni fa, dicendo una mezza bugia: risulta, infatti, una poesia «natalizia» del 1994.

Cesare Cavalleri è stato indotto dall'«insistenza dell'amico Luca Gallesi» a pubblicare quell'antico fascio di versi, per Mimesis. Sintomi di un contesto (pagg. 112, euro 10) è incontestabile, sorge perché «queste cose... vengano definitivamente sigillate nell'oblio», come un mistero: quando lo sveli, svanisce, va. Il poeta, poi, 84 anni, si ostina a dirsi «non-poeta» (così nella generosa dedica che mi ha fatto), per cui, che dire? Intanto, il contesto. Fu Lino Curci, poeta noto un dì all'epoca in cui, scrive Cavalleri con penna d'acciaio, «un verso come mi dissipo in ombra non faceva ridere» , pubblicato da Garzanti, Guanda, Rizzoli, illustre ignoto ora, a confortare il talento di Cavalleri. Poco più che ventenne, Cavalleri partecipò al Premio Cervia; la giuria era presieduta da Giuseppe Ungaretti, di cui diventò amico («Capivi che era sempre in cerca di un verso», ricordò, molto dopo). Il primo premio non fu assegnato, nel 1964 Bino Rebellato pubblicò i finalisti in antologia, Cavalleri non mise piede nella Riviera romagnola («Non partecipai... non mi è mai piaciuto arrivare secondo») e la ventata lirica finì lì. Quello stesso anno, sulla rivista Fogli, appena fondata, Cavalleri ingaggiò una polemica con Eugenio Montale; la poesia Ricapitolazione, la più complessa della raccolta di norma costituita da sketch epigrafici ricalca, albedo poetica, un verso di Montale, storpiandolo. «Ma ciò che salva/ è solo l'allusione», scrive Cavalleri, dove Montale, in Piccolo testamento, fa «e persistenza è solo l'estinzione», superbo endecasillabo. A proposito, s'intitola Endecasillabo una poesia che decontestualizzando avvalora l'indole alla schiettezza di Cavalleri, un po' Orazio, un po' libro dei Proverbi, un po' Sergio Solmi: «Per un endecasillabo ho perduto/ quasi tutta la giornata, e ancora/ può darsi che non basti./ Con sì magro bottino, lietamente m'avvio alla mia notte».

Slegato dall'armatura poetica, Cavalleri ha cavalcato la critica, anzi, il giornalismo colto, con pezzi sagaci e capricciosi, spesso memorabili. Da «non poeta» è stato amico dei poeti, Giorgio Caproni, Giovanni Raboni, su tutti; ha amato Antonio Porta, «il poeta più dotato della nuova avanguardia», ha scritto, riferendosi a Montale su cui scrisse moltissimo , che «i poeti più difficili da amare sono i più bisognosi di essere amati», amava poco Pasolini («Si continuava a parlare di lui... ma non era più un grande poeta»), giudica la poesia di Solmi (vedi sopra) «la perfezione del cristallo». La traduzione di Saint-John Perse in calce al volume è fuori asse e fuori contesto, è semplicemente bellissima.

Il raffinato fustigatore di Umberto Eco, Eugenio Scalfari («Scalfari, come la zia Olimpia, sembra trovare travolgente Nietzsche, ma senza avere il tempo di capirlo»), Roberto Calasso (autore di «calchi... simulacri di simulacri»), quando scrive di Ezra Pound s'insinua nel tacere perché «non si può scrivere di Ezra Pound».

Bastano le prime quattro pagine scarse della giustificazione introduttiva di Cavalleri alle sue poesie, per farci capire, scontati i contesti, che non abbiamo perduto né ritrovato un poeta, stiamo leggendo un maestro.

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