Era un intellettuale a tutto tondo, poliedrico e dai mille interessi. E lo era grazie al suo essere quadrato, irreggimentato nella disciplina di uno studio matto e disperatissimo come quello di Giacomo Leopardi che lo portò a laurearsi ventunenne in Ingegneria al Politecnico di Vienna. Vedeva lontano, tanto da auto-soprannominarsi Lynkeus, come l'argonauta dall'occhio acutissimo che penetrava i muri. Ma era strabico. Si definiva un «realista». Ma ammantava la sua fame di tecnologia e di scienza con scorribande nelle fantasie spesso veicolate dai sogni.
Josef Popper, nato a Kolín, nell'attuale Repubblica Ceca, da una famiglia ebraica di ceto modesto, il 21 febbraio 1838 e morto a Vienna il 22 dicembre 1921 era molto più che lo zio di Karl Popper, anche se pure lui desiderava una «società aperta», anzi spalancata alle libertà individuali, a patto che fossero inserite nel contesto di un welfare che oggi potremmo definire più che scandinavo. In ordine crescente, ecco il campionario delle sue idee geniali. Nel 1862 invia all'Accademia delle Scienze di Vienna un progetto per trasportare l'elettricità tramite cavi che però finisce in un cestino (sarà il francese Marcel Deprez, vent'anni dopo, a mettere in pratica ciò che il Nostro aveva preconizzato in anticipo); poi, essendo stato assunto come precettore del figlio da un industriale dello zucchero, con suo fratello brevetta un nuovo tipo di caldaia per l'estrazione dello zucchero (ne ricava un corposo gruzzolo da cui attingerà fin quasi alla tomba); quindi fa studi di termodinamica, di aeronautica (nel 1880 ipotizza, primo al mondo, la realizzazione di «ali rotanti» per il volo, da cui discenderà l'elicottero); e nel 1884, un bel pezzo dopo aver frequentato le lezioni universitarie di Ernst Mach, comincia a interrogarsi sulle relazioni fra materia ed energia, potenzialmente anticipando la relatività di Einstein.
Tuttavia, lui si considerava in primo luogo un «ingegnere sociale». E proprio a questo campo, quello della tecnica al servizio della politica (o viceversa) appartiene il suo capolavoro: il comunismo liberale. Il ragionamento è semplice: al posto del servizio militare obbligatorio (che deve divenire invece volontario) lo Stato, che ha l'obbligo di nutrire, vestire e fornire di un'abitazione chiunque viva sotto la sua autorità, deve istituire un «servizio alimentare universale» per cui tutti i cittadini lavorano, in un periodo dell'anno, per assicurare ai meno fortunati i beni di prima necessità. Dopo di che, una volta fornito a tutti un livello minimo di benessere, l'impresa privata sarà non soltanto tollerata, ma addirittura caldeggiata, onde produrre ricchezza. Naturalmente il saggio Die allgemeine Nährpflicht, datato 1912, rimase lettera morta, e il riformismo del quadrato Popper-Lynkeus che in linea teorica avrebbe potuto essere la quadratura del cerchio in tema di politiche sociali, oltre che l'inizio di una rinascita post-absburgica, divenne un pezzo da museo o da polverosa biblioteca. Insomma, rimase un sogno.
E, a proposito di sogni, ecco l'ultima genialata di Popper-Lynkeus: l'interpretazione dei sogni. Trattandosi di un viennese contemporaneo di Freud (ma i due non si incontrarono mai) la domanda è d'obbligo: ci è arrivato prima il Nostro oppure herr Doktor? Sta di fatto che L'interpretazione dei sogni di Freud uscì nel 1899, come pure la raccolta di racconti di Popper-Lynkeus Fantasie di un realista (tre dei quali pubblicati ora da Via del Vento in Sogno come veglia, prima edizione italiana di scritti di questo autore), dove i sogni e la loro interpretazione in chiave razionalistica che ne smaschera la «censura» sono appunto il tema centrale di una prosa che ha indotto Jean Starobinski a parlare di Popper-Lynkeus come di un «doganiere Rousseau della letteratura».
Ma sta anche di fatto che Freud, non potendo accusare l'altro di plagio, chiuse la questione così, in un saggio del 1923: «Io credo che ciò che mi ha reso capace di scoprire la causa della deformazione onirica sia stato il mio coraggio morale; nel caso di Popper sono stati invece la purezza, l'amore per la verità e la chiarezza morale del suo essere».
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