Un posto a teatro

Non è finita finché non è finita. E allora balliamo e sogniamo: il rito del teatro come vittoria sul senso di morte, così vicino per Luigi Pirandello, che non finì I giganti della montagna proprio perché lo colse la fine. Gabriele Lavia si espone molto, in questa versione in cui è regista e interpreta anche Cotrone il mago di Villa Scalogna dove una compagnia di teatranti trova rifugio e illuminazione sull'aldiqua e sull'aldilà. Il suo Cotrone è gran burattinaio, narratore onnisciente, guida spirituale, saggio paziente che tutto ricorda e sopporta, e insieme principe di un regno di solitudine interiore, perché al mondo la poesia non interessa, perché di fronte alla morte siamo tutti soli. Tutto questo arriva al pubblico in ogni momento delle due ore e mezza di performance. Siamo con Lavia e siamo con la compagine degli oltre venti attori, su cui spicca Nellina Laganà-Sgricia per energia e costruzione del personaggio. Perché nonostante lo spettacolo sia una produzione grandiosa - splendidi i costumi, gli effetti di voce e di luci, colossali le scene, grandissimo diletto la scena dei Fantocci - tutti sembrano nudi. Inermi di fronte a un testo smisurato, che è testamento, terrore cieco e speranza insieme.

Prima che passino a cavallo «i giganti della montagna» - quel mondo là fuori di cui prima di sederci in teatro facevamo parte - e si chiuda il sipario, Lavia e i suoi ci fanno prigioniero il cuore nell'illusione: che un luogo sospeso esista, dove il tempo si ferma e possiamo raccontare e ascoltare, per sempre.

I GIGANTI DELLA MONTAGNA Milano, Teatro Strehler, fino al 10 marzo.

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