Cultura e Spettacoli

Povero Gershwin Un «Porgy&Bess» senza anima folk

Franco Fayenz

Mentre assistevo alla Scala alla rappresentazione di Porgy and Bess, l'unico melodramma di George Gershwin e l'ultima delle sue partiture più impegnative in confronto alle canzoni oggi giustamente celebri, ho fatto un rapido calcolo delle altre volte in cui ho avuto in passato lo stesso privilegio. Sono tre, di cui la prima al Teatro La Fenice di Venezia. E quindi sono andato a rileggermi la mia recensione ormai lontana. Non ho letto nulla di diverso rispetto agli umori che circolavano dalle nostre parti fra i cultori del jazz 50 anni fa. Eppure sembrano cose e idee che provengano da un altro pianeta. Gershwin era stimato poco o nulla (l'aggettivo che più gli si affibbiava era «ibrido»), non era stata capita come meritava la sua straordinaria capacità d'invenzione melodica, per non parlare delle sue opere più impegnative, salvo la Rhapsody in Blue del 1924. Tutte e tre le volte che per me hanno preceduto quella della Scala, ho visto sulla scena una fedele immagine del poverissimo Vicolo del Pesce Gatto (Catfish Row) e dei suoi abitanti come l'aveva ideata lo scrittore Dubose Heyward autore del romanzo breve Porgy (1925). Si noti che Heyward era nato nel 1985 a Charleston, nella Carolina del Sud dove sono ambientati Porgy, il Catfish Row e quindi Porgy and Bess.

Perché insisto su questi particolari che non pochi mostrano di considerare appartenenti alla preistoria, dato ciò che si vedrà di Porgy and Bess fino a domani alla Scala? Non si discute la bellezza delle voci principali, Morris Robinson come Porgy, Kristin Lewis come Bess, Lester Lynch come Crown rivale di Porgy, nonché Sportin'Life interpretato da Chauncey Packer, il cui personaggio ho sempre visto fare un figurone come spacciatore di cocaina. E poi Clara (Angel Blue) alla quale è stato affidato di aprire l'opera con l'immortale Summertime. E ancora, si citino i brani più felici: lo spiritual He's gone, gone, gone, il canto dei pescatori It takes a long pull, l'assolo di Sportin'Life It ain't necessarily so, il sermone Time and time again e i due bellissimi canti dei venditori ambulanti. Ma alla Scala Catfish Row si trasforma in una scena tecnologica (meglio: ipertecnologica), i suoi abitanti diventano un coro enorme composto tutto di bianchi e via di questo passo. No, questa non è Porgy and Bess, che il suo stesso autore definì una folk-opera. Può crederlo soltanto chi non l'abbia vista mai prima e altrove.

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