Cultura e Spettacoli

Un professore sale sul ring e la lotta diventa cultura

Jonathan Gottschall racconta la sua vita di insegnante che si dà al combattimento estremo. Un viaggio, a suon di cazzotti, nell'interiorità. Per capire il senso profondo della violenza

Un professore sale sul ring e la lotta diventa cultura

L'universo maschile è stato bandito dalla società contemporanea occidentale: azzardarsi a celebrare valori antiquati come quello di virilità o esaltare idee blasfeme come il cameratismo, oggi, sarebbe come dichiararsi adoratori del diavolo ai tempi dell'Inquisizione o definirsi trotskisti nell'Unione Sovietica staliniana. Dimostra, quindi, un ammirevole sprezzo del pericolo, lo studioso Jonathan Gottschall dando alle stampe Il professore sul ring. Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli, (Bollati Boringhieri, pagg. 330, euro 23), un libro dedicato alla più inconfessabile parte della psiche maschile, dove si annida il gusto della sfida e l'irresistibile attrattiva del conflitto.

L'impresa risulta ancora più encomiabile, se consideriamo l'appartenenza dell'autore alla categoria «dei professori di letteratura, cresciuto nell'universo femminilizzato dell'accademia di sinistra», un perenne sottomesso, insomma, che, come Spartaco, decide un giorno di spezzare le catene del politicamente corretto per assaporare finalmente il gusto del sangue e celebrare l'ebbrezza della lotta.Escluso dalla carriera accademica e relegato al ruolo di «professore aggiunto» di letteratura inglese in un college di provincia, con un modesto stipendio annuale di 16mila dollari lordi, a quasi quarant'anni Gottschall trova il coraggio di dare scandalo, forse con la segreta speranza di farsi licenziare. Varca, quindi, la soglia di una palestra appena inaugurata proprio di fronte a scuola per iscriversi al corso di Mixed Martial Arts, una letale miscela di arti marziali orientale e occidentali, dove ci si prepara a combattere senza limiti di tempo, senza esclusione di colpi e senza protezioni: vince chi mette fuori combattimento o sottomette l'avversario. Dopo due anni di allenamento massacrante, l'ormai ex-professore di inglese è pronto ad affrontare un vero combattimento, nella gabbia di rete metallica dove si deciderà il suo destino, anche se, ormai, più che di uscire vittorioso, gli importa aver dimostrato a colleghi, amici e familiari, ma soprattutto a se stesso, di aver vinto la paura e sconfitto la pigrizia, nemici ben più duri di qualsiasi avversario in carne e ossa.

Il libro è il resoconto, appassionato e appassionante, della scoperta di un mondo affascinante, quell'universo maschile negato dal totalitarismo ipocrita del buonismo umanitario, dove aleggia l'esaltante soddisfazione per una giusta dose di aggressività, piacere ancestrale che, nonostante le peggiori intenzioni dell'intellighenzia, è incancellabile dall'animo umano. Sebbene ci si sforzi di reprimere il cosiddetto bullismo, eliminando giochi cruenti e armi giocattolo, fino a oltrepassare la soglia del ridicolo inventando bambole e pentolini per maschietti, non ci sarà mai nessun bambino che si azzarderà a giocare all'operatore di pace o a imitare Martin Luther King o Alfred Einstein, e neppure Steve Jobs.Come dimostrano le ricerche scientifiche citate da Gottschall che prima di questa autobiografia ha scritto un saggio accademico sulla violenza nella storia- i maschi hanno l'aggressività nel sangue, e preferiranno sempre i personaggi eroici e violenti a chiunque altro. E giocare alla guerra, ci ricorda sempre l'autore, non significa prepararsi a diventare assassini, ma soltanto esercitare l'aggressività celebrata da tutte le società sane di ogni tempo, che esaltano la sconfitta dei cattivi da parte dell'azione di forza dei buoni. «È il piacere della giusta punizione, del cattivo che ha quel che si merita da parte del buono».

Negare questa semplicissima verità significa storpiare l'animo dell'uomo, predisponendolo a una moralità distorta e fasulla, pronta a condannare i buoni e premiare i cattivi, esattamente come si augurava Brecht, quando sputava sentenze sulle presunte beatitudini di un Paese che non ha bisogno di eroi.

Le pagine del Professore sul ring sono un'inaspettata boccata di ossigeno, un ritorno al mondo reale, dove non esistono fantasie gender, ma solo complementari identità maschili e femminili; dove il concetto di onore vale più della vita, e ci viene anche spiegato scientificamente il perché; dove l'aggressività svolge una delicatissima funzione vitale; dove identità e appartenenza non sono idee impresentabili ma i cardini di ogni società sana; e dove, addirittura, si suggerisce, tra le righe, la legalizzazione del duello, esattamente come accade in tutte le specie animali, dove i combattimenti rituali risolvono, senza inutili vittime, ogni questione tra maschi.

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