Cultura e Spettacoli

Il protezionismo non protegge nessuno Invece il libero mercato aiuta tutti

Don Boudreaux rilancia le attualissime lezioni di Adam Smith e David Ricardo

Il protezionismo non protegge nessuno Invece il libero mercato aiuta tutti

In quest'epoca di nazionalismi e populismi ostili a ogni spirito critico, può sembrare velleitario prendere per mano il lettore per spiegargli perché è irrazionale (oltre che immorale) alzare barriere a «tutela» delle produzioni nazionali e contro la concorrenza straniera. Eppure bene ha fatto Don Boudreaux a raccogliere in Libero commercio. Cos'è e come ci rende tutti più ricchi (IBL Libri, pagg. 88, euro 10) tutti gli argomenti fondamentali in difesa del libero scambio e contro gli interventi che tendono a chiudere ogni economia entro le proprie frontiere.

Il punto di partenza della riflessione è Adam Smith, in particolare la sua tesi secondo cui più ampio è il mercato e maggiori sono i benefici per quanti ne prendono parte. Se ogni scambio avvantaggia entrambi i contraenti, è chiaro che Robinson Crusoe ha tutto da guadagnare dall'arrivo di Venerdì. Ma se egli può scambiare con moltissime persone anche oltre i confini dell'isoletta, può trarre beneficio dalla creatività e dalle abilità di un gran numero di altri soggetti. Dopo Smith, Boudreaux chiama in causa - naturalmente - David Ricardo e la celebre «legge dei vantaggi comparati», secondo cui anche chi per ipotesi non fosse il più abile in nessuna attività specifica ha comunque interesse a concentrare i propri sforzi in quello fra tutti i settori in cui riesce meno peggio, ottenendo dalle altre persone ogni ulteriore bene e servizio di cui ha bisogno. Da questa incontestabile considerazione Ricardo derivava, e si è ancora in attesa di una confutazione, che l'apertura dei mercati è favorevole a tutti: quale che sia il livello tecnologico ottenuto. Questo spiega perché quanti operano nei Paesi ricchi fanno talvolta straordinari affari quando vanno nel Terzo Mondo, e lo stesso capita ai produttori delle società più povere - si pensi alla crescita della Cina negli ultimi vent'anni - quando piazzano i loro beni sui mercati delle economie più avanzate.

La riflessione di Boudreaux è rigorosa, contestando una dopo l'altra le tesi usate a difesa del protezionismo. Egli mostra con chiarezza, ad esempio, che nel lungo periodo il commercio non distrugge posti di lavoro. Ciò che fa venir meno talune occupazioni, semmai, è la naturale volubilità di tutti noi consumatori, che se smettiamo di comprare un prodotto (nazionale o straniero) creiamo ovvi problemi a quell'azienda. Al tempo stesso, se i britannici danno sterline a imprese americane in cambio di autovetture oppure computer, è altamente probabile che prima o poi quelle sterline verranno usate per acquistare qualche prodotto britannico. A conferma del fatto che il commercio non elimina il lavoro, ma lo riorienta. Nella parte conclusiva l'autore dissolve tanti altri argomenti, mostrandone l'inconsistenza. Un lettore intellettualmente onesto potrà arrivare facilmente alla conclusione che l'attuale protezionismo dimostra, una volta di più, come le scelte politiche siano spesso irrazionali e di conseguenza distruttive. Certo l'adesione a questa prospettiva avversa alla libertà individuale e alla proprietà privata non nasce tanto da errata analisi economiche.

Essa poggia sul riemergere di miti nazionalistici e di fatto collettivistici: su idee pericolose che possono causare molti danni e che, non di rado, portano i popoli a scontrarsi in sanguinosi conflitti.

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