Quando la demonizzazione porta la gente a ribellarsi

Alessandro Sansoni

Ormai il sistema dei media mainstream è in preda a un'isteria incontrollata. La scoperta di essere isolati e inascoltati, sia socialmente che culturalmente, dalla stragrande maggioranza degli italiani, porta i suoi esponenti ad assumere atteggiamenti parossistici che rendono le loro opinioni ancora più astratte e caricaturali. E così la camicia blu di un attore che, sul palco di Atreju, recita D'Annunzio, diventa nera ai loro occhi e il monologo da lui stesso interpretato si trasforma in un mussoliniano dialogo con le masse. Un decreto volto a correggere le storture derivate dall'accoglienza indiscriminata di imponenti flussi migratori li spinge a evocare i tempi cupi de La difesa della razza di Telesio Interlandi, mentre la presenza di Steve Bannon a Roma e la nascita della sua associazione, «The Movement», viene classificata come il sorgere di una pericolosa «internazionale nera», pronta a prendere d'assalto le istituzioni europee e imporre un Regime. Sullo sfondo l'equiparazione del sovranismo al Fascismo: come se il Fascismo non fosse un fenomeno politico storicamente definito, ma uno stato dell'anima in cui collocare tutto ciò che non collima con le proprie idee. Con uno schema simile il risultato è scontato: demonizzare chiunque voglia chiedersi se sia razionale aprire le porte a milioni di immigrati o faccia notare l'alto tasso di comportamenti criminali della popolazione extracomunitaria; demonizzare chiunque giudichi sbagliato lo smantellamento dell'istituto familiare e l'idea che la nascita di un bambino sia da subordinare al soddisfacimento di un desiderio individuale; demonizzare chiunque ritenga non più sostenibili le politiche di austerity imposte dall'Unione Europea.

La demonizzazione dell'altro, però, è notoriamente l'anticamera della indisponibilità al totalitarismo più oscurantista. E compromette la capacità di ascoltare le istanze della gente comune che, inevitabilmente, si ribella.

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