Il sottotitolo è minaccioso: Requiem per il romanzo poliziesco. Minaccioso, dunque promettente, sia per chi detesta, sia per chi ama i romanzi polizieschi. E il titolo è: La promessa. Come se l'autore volesse specificare, con traiettoria tangente alla trama del libro, e oltre ogni ragionevole dubbio: caro lettore, ti prometto di celebrare il funerale del Kriminalroman. Un funerale peraltro replicato nei suoi successivi romanzi Giustizia, L'incarico, Il pensionato. Un funerale che era già stato apparecchiato in precedenza con Il giudice e il suo boia, Il sospetto e La panne.
Friedrich Dürrenmatt (1921 - 90) guerreggiava contro l'assunto di base del romanzo poliziesco: alla fine la risoluzione del caso certifica il trionfo della giustizia. Ce l'aveva, in prima battuta, con gli scrittori di romanzi polizieschi. Il narratore di La promessa (uscito per la prima volta nel 1958 e ora riproposto da Adelphi - pagg. 162, euro 15, traduzione di Donata Berra), «il dottor H., ex comandante della polizia cantonale di Zurigo», dice infatti a chi ne ascolta la ricostruzione dei fatti, ovviamente un autore di romanzi polizieschi: «È sempre stato così, voi scrittori la verità la gettate in pasto alle regole drammaturgiche. Mandatele al diavolo queste regole, una buona volta. Di un fatto non si potrà mai venire a capo nel modo in cui si risolve un calcolo matematico, se non altro perché non arriviamo mai a conoscere tutti gli elementi necessari ma disponiamo solo di alcuni dati, per lo più marginali. E troppa importanza assumono allora il caso, l'imprevisto, l'imponderabile».
Temperamento anarchico a dispetto del proprio ruolo che fu istituzionale (Dürrenmatt gli fa dire, incidentalmente, «ritengo che in questo Stato così ordinato è dovere di ciascuno creare una piccola isola di disordine, anche se in segreto»), il dottor H. è strettamente imparentato con il commissario Hans Bärlach di Il giudice e il suo boia e Il sospetto: anziano, disilluso ormai da decenni, possiede la profonda saggezza di chi non può più usarla, ma soltanto donarla. La storia che racconta al suo interlocutore è, come spesso avviene in Dürrenmatt, un geometrico paradosso, una costruzione tanto perfetta dal punto di vista narratologico, quanto impossibile dal punto di vista della logica.
Il basso continuo, nella partitura di La promessa, è un interrogativo che esula dai codici e chiama in causa le coscienze: la giustizia può definirsi ancora tale se applica metodi ingiusti? Un interrogativo che si pone nella cronaca, prima che nella fiction. È ad esempio notizia di pochi giorni fa quella relativa a un pubblico ministero californiano finito sotto accusa per aver utilizzato la propria figlia tredicenne come esca per incastrare un pedofilo, con tanto di prove filmate dei suoi approcci con la ragazzina. Prove che tuttavia il tribunale potrebbe non ammettere, assolvendo il colpevole e dichiarando colpevole chi ha catturato il colpevole... Ebbene, in La promessa avviene qualche cosa di molto simile. Ma avviene sul finire di questo dramma, a distanza di quasi un decennio dal delitto da cui parte il resoconto del dottor H., un decennio in cui avviene la dissoluzione di un uomo. L'uomo in questione è il commissario Matthäi il quale, da integerrimo fuoriclasse della deduzione applicata alle indagini, si trasforma in un relitto alla deriva nel mare del senso di colpa, alcolizzato, folle, bruciato dal fuoco dell'antica promessa che non ha potuto mantenere.
Matthäi ha infatti lavorato al caso di Gritli Moser, sette anni, trovata cadavere in un bosco, dilaniata a colpi di rasoio. Sul suo corpo che non mostra segni di violenza sessuale si è abbattuta la furia di una belva. C'è un sospettato, un venditore ambulante che da tempo bazzica nei paraggi, e che fra le altre cianfrusaglie propone ai contadini del posto anche rasoi... La giustizia lo vuole colpevole, ma lui la anticipa, impiccandosi in cella. È proprio Matthäi a tenere in vita il dubbio sulla colpevolezza del suicida. E sarà questo dubbio, alimentato da indizi inquietanti, oltre che da due irrisolti casi simili avvenuti nella zona anni prima, a far precipitare il commissario nell'abisso. Dopo aver formulato La promessa del titolo alla mamma di Gritli, giurando sulla propria anima che scoprirà l'assassino, rinuncia a un prestigioso incarico all'estero e, fregandosene dell'opinione dei colleghi e del suo capo, il dottor H., decide di lasciare la polizia, di lasciare Zurigo, di lasciare una giustizia che considera pressapochista, opportunista, superficiale, e di dedicarsi unicamente al proprio dovere.
La promessa è lo sviluppo romanzesco di un soggetto cinematografico scritto appositamente da Dürrenmatt e da cui venne tratto Il mostro di Mägendorf (1958), diretto da Ladislao Vajda. Seguirono lo sceneggiato televisivo di Alberto Negrin, con Rossano Brazzi nella parte di Matthäi (1979) e il film di Sean Penn, con un Jack Nicholson a proprio agio, nel dare corpo alla dannazione del fallimento (2001). Ma questo libro è molto più di un buon prodotto da vedere.
Qui Dürrenmatt mantiene in pieno la promessa fatta al lettore, portandolo a diffidare di tutte le parti in causa, siano dalla parte dei buoni o dei cattivi. E a credere soltanto nella giustizia vera. Anche se non arriverà mai.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.