Quando l'etica batte l'estetica

di Pedro ArmocidaSpesso gli Oscar per il miglior film e la migliore regia vanno in coppia. È successo anche lo scorso anno a Alejandro González Iñárritu con il suo Birdman. Ma forse stavolta è sembrato troppo pure all'Academy premiare due volte il regista messicano che adesso grazie all'Oscar per Revenant detiene, insieme solo a John Ford e Joseph L. Mankiewicz, il record di due vittorie consecutive come miglior regista. Così, alla fine, tra i candidati per il miglior film l'ha spuntata Il caso Spotlight di Tom McCarthy. Un po' a sorpresa e un po' no visto che si tratta comunque di una solida pellicola che si rifà alla tradizione tipicamente statunitense dei film sul giornalismo «cane da guardia del potere». In questo caso il potere è rappresentato dalla Chiesa cattolica di Boston con il cardinale Bernard Law che gestì malamente, se non colpevolmente, numerosi casi di pedofilia tra i sacerdoti della sua diocesi. Furono proprio alcuni giornalisti del quotidiano Boston Globe, del team di investigazione chiamato appunto Spotlight («riflettore» in italiano), a sollevare il caso che portò al trasferimento del cardinale nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Insomma il titolo perfetto per i votanti dell'Academy perché, oltre a un ottimo cast corale, unisce la qualità cinematografica (apparentemente piatta è invece la servizio della sceneggiatura anch'essa premiata con l'Oscar) all'impegno civile che a Hollywood si porta sempre bene.

Ma è anche vero che Il caso Spotlight non esibisce mai la battaglia civile come una medaglia sul petto. È l'etica profonda di un film che vince sull'estetica, molto appariscente, di quel gran virtuoso di Alejandro González Iñárritu.

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