Quei folli "cacciatori" della Bibbia perduta

Un saggio racconta le incredibili vicende di una delle rare copie del primo libro stampato

Quei  folli "cacciatori" della Bibbia perduta

A stupirvi, se vi capitasse di poterne tenere in mano una delle rare copie (e sarebbe una fortuna incredibile), sarebbe la lucidità dei colori. Sì: le Bibbie di Gutenberg sembrano molto meno antiche di quanto in realtà siano, questione di qualità della carta quattrocentesca. Ma non solo. C'era qualcosa di eccezionale nell'inchiostrazione dei caratteri praticata da Johannes Gutenberg (1400-1468), il quale probabilmente fu l'inventore della stampa a caratteri mobili per come noi la conosciamo e sicuramente fu lo stampatore del primo libro a stampa di cui esistano ancora copie: la Bibbia detta delle «Quarantadue linee».

Ogni copia di quello che è l'incunabolo degli incunaboli è preziosissima. Nessuna è veramente uguale alle altre, né per stato di conservane né per aspetto. Durante la lavorazione vennero fatti svariati esperimenti tipografici e i grandi capolettera vennero poi dipinti a mano da artisti diversi. Quindi, tenendo in mano una di queste Bibbie si posano le proprie mani su due cose diverse ma unite nella stessa legatura: un capolavoro unico e un oggetto seriale (il primo) che ha dato origine alla nostra cultura di massa.

Ecco perché la caccia alla Bibbie di Gutenberg dal Settecento in poi è diventata spasmodica e propria dei bibliofili più ricchi ed accaniti. La disfida per procurarsi quello che è un vero Sacro Graal delle collezioni librarie, la racconta la scrittrice americana Margaret Leslie Davis nel suo La Bibbia scomparsa. L'incredibile viaggio di un libro (Mondadori, pagg. 256, euro 24). La Davis segue le vicende, scaffale dopo scaffale, asta dopo asta, della così detta «Numero 45». Si tratta di un volume in folio che contiene il testo biblico sino ai Salmi (le Bibbie di Gutenberg sono stampate in due volumi di cui il secondo in questo caso è perduto). Ed è probabilmente l'unico dei testi superstiti ad avere la legatura e le copertine originali. Dettagli interni in cui spiccano alcuni particolari errori, poi corretti, fanno supporre agli esperti sia stata rilegata prima del 15 agosto 1456.

Ma ad essere meravigliosa in questo caso, a parte l'incunabolo in sé, è anche la storia della lunga lotta tra bibliofili avvenuta per accaparrarsi il libro. Una vera epopea che incrocia cultura, ricchezza sfrenata, crolli finanziari e mania di possesso. Tanto per dire: il primo possessore noto, Archibald Acheson III conte di Gosford (1806-64), viveva nel più grande castello dell'Irlanda del nord, un'opera edilizia infinita che stava dissipando le finanze di famiglia. A questa mania, ereditata dal padre, Archibald Acheson III unì quella dei libri, creando una collezione enorme in cui la preziosissima Bibbia di Gutenberg non era che un pezzo tra i tanti (il conte preferiva nettamente il first folio delle opere di Shakespeare...). Alla Morte di Acheson le sue follie edilizie e librarie portarono ad un'asta, dove la Bibbia divenne ovviamente il pezzo forte. Dopo una dura battaglia finì nelle mani di Lord William Tyssen-Amherst (1835-1909), diventato uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra grazie alla salsa Worcester e alle manifatture culinarie. Costruttore di una dimora di famiglia che ha ispirato la serie televisiva Downton Abbey, dotato di un meraviglioso panfilo su cui ospitava il Kaiser e di una ferrovia privata, era dotato di una maniacalità libraria affatto diversa rispetto a quella di Acheson III: posseveva un numero ristretto di volumi, tutti preziosissimi, ma da sfogliare e commentare in famiglia. Soprattutto con le figlie che si riunivano a leggere in uno studio il cui patrimonio librario valeva più di tutti gli stabili di una piccola cittadina. Anche i Tyssen-Amherst però finirono nei guai quando un amministratore truffaldino fece sparire gran parte della loro liquidità (altro spunto sfruttato in Downton Abbey). E di nuovo la «Numero 45» prese la strada di un'asta. Ma questa volta per finire verso nuove e più rapaci mani statunitensi: la bibliofilia estrema necessita di capitali estremi. E in questo caso i capitali zampillavano dal petrolio della potente famiglia Doheny, capitanata dall'intraprendente vedova Estelle (1875-1958)...

Ma non roviniamo al lettore la suspense della fine della grande sciarada (non ne avremmo nemmeno lo spazio). Limitiamoci a dire che bene ha fatto l'Unesco nel 2001 a dichiarare la Bibbia delle «Quarantadue linee» nell'elenco della Memoria del mondo.

Non solo per la storia della sua genesi, ma anche per le infinite vicende che si intrecciano attorno alle sue copie superstiti. Storie di amore librario, mania e potere. Ma la Bibbia alla fine, come ogni buon libro, non si fa possedere da nessuno.

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