Radiogiornale

Ora che la radio ha resistito all'invasione del web e si conferma come opinion leader sia in campo musicale (con le playlist) che nelle news (anche sportive), non deve dimenticare il proprio ruolo trainante nella tutela e nel rispetto della lingua italiana. Per carità, nessuno si aspetta che i deejay o gli speaker siano esegeti conservatori e infaticabili della grammatica, anzi. Spesso sono determinanti nell'inarrestabile evoluzione di una lingua che, specialmente in campo musicale, è da decenni sotto assedio dell'inglese. Sdoganano detti popolari, distillano influssi dialettali e talvolta coniano pure neologismi poi adottati da tutti gli altri. Ma il rispetto della lingua italiana non passa soltanto dai personaggi che dietro il microfono commentano canzoni o conducono radio talk show. Passa soprattutto attraverso il linguaggio complessivo di ciascuna radio, quindi attraverso gli slogan, il copywriting e la stesura delle news. Talvolta gli errori sono marchiani e ostinati, rimangono impressi nei palinsesti per settimane o mesi. Perciò, ad esempio, il «proprio» diventa «suo», le consecutio latitano e, anche sui rispettivi siti, è un florilegio di errori che meritavano la matita blu già alle elementari. Per non parlare della lettura delle news. Pazienza per le radio locali, orgogliosamente legate alle inflessioni della zona di trasmissione.

Ma i grandi network spesso mandano in onda radiogiornali letti da speaker che tradiscono un'inflessione così manifesta da essere, più che insopportabile, quasi intollerabile con chi pretende di parlare a tutta Italia. Un problema che arriva da lontano ma che sarebbe il caso di provare a risolvere. Dai, provateci.

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