Radiogiornale

Non è il caso di essere troppo sofisticati. Tutti noi abbiamo impresso per sempre nella voce il nostro luogo d'origine. L'accento. L'inflessione. L'uso, la scelta o addirittura il significato delle parole scelte. Però, esattamente come in televisione, anche in radio spesso si supera il limite di guardia. E non contano tanto le radio locali, che per la loro stessa natura devono aderire al territorio sul quale sono ascoltate e seguite. E neppure la questione linguistica riguarda i singoli deejay che, talvolta, trovano proprio nell'accento particolare uno dei loro inconfondibili marchi di fabbrica. Ma i radiogiornali no. Quando si danno notizie nazionali o mondiali oppure si intervistano premi Nobel o star di Hollywood non si può esibire un accento marcato oppure chiaramente identificativo. Non è una questione di purezza linguistica o di chissà quale altra fisima da loggionisti invasati. Semplicemente, nel resto del mondo sui grandi canali radiofonici le notizie sono lette «in assenza di accento locale». Qui invece, a seconda dell'origine dei singoli speaker, spesso si raddoppiano le «g», si arrotano le «r», si dimenticano i congiuntivi oppure si utilizzano termini chiaramente dialettali che sono propri di una parte minima degli ascoltatori. È una mancanza di rispetto per chi sceglie quella emittente e si sente quindi «fuori casa».

Ed è anche una sorta di «tradimento» della missione radiofonica che per vocazione dovrebbe unire gli ascoltatori, non frazionarli a seconda della provenienza geografica. Un limite sempre più evidente che dovrebbe quantomeno essere preso in considerazione nel futuro prossimo venturo.

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