«Rendo omaggio a Duke ma non disdegno il pop»

Il trombettista pubblica un cd dedicato a Ellington dopo aver collaborato con Concato e Nina Zilli

Non poteva certo mancare la poliedrica tromba di Fabrizio Bosso alla corte della Verve Italy. Bosso si sa smarcare con maestria (senza tradirle) dalle radici jazz per colorire con il suo strumento i suoni soul (vedi l'apparizione a Sanremo 2010 e la tournée con Nina Zilli), quelli cantautorali (chiedere a Fabio Concato), persino le musiche di Nino Rota reinterpretate in quartetto e con l'aiuto della London Symphony Orchestra... Così ora ha pubblicato una piccola chicca, Duke, dedicata a maestro Ellington rileggendo (in quartetto con l'aggiunta dei fiati di Paolo Silvestri che firma anche gli arrangiamenti) con grande confidenza e leggerezza alcuni classici che tutti dovrebbero conoscere come Caravan, In a Sentimental Mood, Perdido...

Disco affascinante, come è nato il progetto?

«Da un concerto che ho tenuto al Festival Jazz di Roma sul tema dello swing. Doveva essere un episodio isolato ma poi è andata talmente bene con l'aggiunta dei sei fiati di Paolo Silvestri, che ho deciso di approfondire la ricerca su Ellington».

È un compito da far tremare i polsi...

«In realtà è difficile mettere mano a una musica così perfetta. Ma Silvestri ha creato una struttura che mi permette di tirar fuori tutto me stesso e di unire tradizionale e moderno. Il rischio degli arrangiamenti è quello di ingabbiare il solista; qui abbiamo trovato l'equilibrio espressivo».

Cosa significa Ellington per lei?

«L'anima dello swing. La genialità di aver scritto temi cantabili, capolavori melodici senza mai scadere nel banale. Brani come In a Sentimental Mood sono profondi, stimolanti , cambiano la vita. Io sono cresciuto con questi suoni e con quelli delle big band: è una musica che sta alla base di tutto».

Eppure lei è molto eclettico nei gusti.

«Devo dire che provo sentimenti profondi anche quando ascolto cantautori come Lucio Battisti».

Lei passa disinvoltamente dal jazz al pop al soul.

«Non importa il genere, l'importante è avere un proprio suono. Sono cresciuto con tanta musica diversa e non ho problemi a confrontarmi con altri generi. Il problema piuttosto è che a volte mi stanco di ascoltarmi, se non cambio mi sembra di essere ripetitivo. Suonando bisogna emozionarsi, sia in una jazz ballad che in un pezzo in cui accompagni Concato o Cammariere. Spero di non essere considerato un talebano del jazz, in Italia ce ne sono ancora molti».

E i suoi maestri musicali?

«Sono tantissimi comunque cito Clifford Brown, Maynard Ferguson e il sax di Coltrane. Miles Davis e Chet Baker li ho scoperti molto tardi. Wynton Marsalis fra i moderni è il più forte di tutti come trombettista per stile, tecnica, padronanza del linguaggio, cultura. È il più completo, infatti suona anche musica classica».

Come si definisce?

«Potrei dire un

missionario che non vuole far morire lo swing, ma sono un artista aperto alle collaborazioni e disponibile a cambiare idee musicali. Molti pensano che lo faccia per soldi, ma per me è naturale, come i miei esordi con Cammariere».

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