Ribelli verdi e orgoglio nero: ecco i nuovi colori d'America

Il fotografo Ryan McGinley si ispira al mondo libero e rurale di Thoreau Nei quadri di Rashid Johnson echeggiano le radici africane dell'Art Brut

Ribelli verdi e orgoglio nero: ecco i nuovi colori d'America

Quarantenni tra poco, con una carriera già molto significativa alle spalle, Ryan McGinley e Rashid Johnson in America sono considerati tra gli artisti più significativi della penultima generazione. Fotografo il primo, pittore e altro il secondo, entrambi nati nel 1977. Con ottima tempestività la Gamec di Bergamo li intercetta presentandoli in una doppia personale, inedita per l'Italia, da domani al 15 maggio. Ottima scelta, visto che il contemporaneo è sempre meno presente nei nostri spazi pubblici, perché si dice incassi troppo poco.Tra i due, McGinley è il più noto, in quanto ha dato immagine e volto ai teenagers della Lost Generation fin dall'inizio degli anni Duemila. Cresciuto nell'East Village, nella comunità underground di skaters e arte di strada, ha dapprima raccontato le storie dei suoi coetanei come fossero sequenze di un film di Gus Van Sant, spesso nudi, a vivere una sessualità estremamente libera e giocosa. Questo stile così immediato e istantaneo gli è servito nel realizzare campagne pubblicitarie per grandi aziende quali Dior, Calvin Klein, Stella McCartney, Levi's, Adidas e Nike, mentre la band islandese Sigur Ros ha scelto una sua foto del 2007, Highway, per la copertina di un album.Il passo successivo, da un punto di vista estetico e concettuale, McGinley lo ha compiuto indagando il paesaggio dove ambientare il rapporto tra uomo e natura, per una visione che si avvicina a quella del nuovo outsider, un po' buon selvaggio e un po' hipster, che vive come un moderno Walden, mitico personaggio di Henry David Thoreau che già attrasse la Beat Generation. Le quaranta foto esposte a Bergamo sono allestite seguendo il ritmo delle stagioni: diversi anche i colori, freddi in inverno, caldi e accesi in estate, mentre per l'autunno l'ispirazione gli giunge dai paesaggi romantici americani di Frederic Edwin Church, pittore della Hudson River School. Dopo aver viaggiato per tutta l'America alla ricerca di luoghi molto particolari rocce, grotte, sorgenti, deserti, boschi - McGinley ha letteralmente immerso i suoi giovani modelli nella natura panica e primordiale, quasi una risposta all'eccesso di civiltà e tecnologia che ne aveva contraddistinto gli esordi.Rashid Johnson, invece, è tra gli esponenti di punta della cultura afroamericana sui temi dell'identità e dell'integrazione. Nel 2001 è stato il più giovane artista invitato alla mostra «Free Style» ad Harlem, dove è stata coniata l'espressione «Post Black Art». Da lì la sua carriera è decollata con mostre personali a Chicago, Denver e Mosca. Tecnicamente Johnson è un pittore, intendendo però tale mestiere in maniera poco ortodossa: mescola la pittura a sculture, installazioni, progetti, insomma se ne serve quando gli è necessaria per esprimere un concetto più articolato. Critica sociale e storia collettiva si intrecciano alla riscoperta della memoria personale, del suo vissuto e della famiglia. Recupera libri, dischi uno dei lavori in mostra è dedicato a David Bowie - citando sia l'immancabile minimalismo sia un certo espressionismo gestuale che tocca, nei modi, l'Art Brut. Insomma, si tratta di un felice e originale incontro fra gli elementi del proprio «romanzo di formazione» e una sorta di ingenuità istintiva primordiale. In Poetry, per esempio, inscena un ricordo della madre, mentre altri lavori sono molto complessi: dipinge un pavimento di quercia rossa, piastrelle in ceramica, ingloba installazioni e video per poi ricorrere a materiali caldi della tradizione africana, quali cera, gusci d'ostrica, burro di karité.E spesso cita la musica, il jazz, il blues e il rap politico dei Public Enemy. Dice di se stesso: «l'artista è un viaggiatore nel tempo» descrivendo il proprio lavoro «come un mezzo o un portale per riscrivere la storia in modo efficace, non come una revisione, ma come un lavoro di finzione». I suoi quadri, molto intensi e scomodi, fanno pensare allo stato d'ansia implicito al momento della creazione.

Grandi figure nere, come fantasmi immateriali, occupano lo spazio, grandi macchie nere che ricordano un grande romanzo della letteratura afroamericana, Uomo invisibile di Ralph Ellison. La forza di Johnson sta, soprattutto, nel dire le cose senza ricorrere alle solite formulette prestampate dell'arte di denuncia, ma con l'ambizione di toccare temi esistenziali e privati.

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