Cultura e Spettacoli

"Ridiamo della morte, a teatro si può"

L'attore e autore di "Funeral home": "Il palcoscenico è più libero del cinema e del web"

"Ridiamo della morte, a teatro si può"

Corna, cornini, superstizioni assortite. La morte si cerca di sviarla così, ma la storia di Samarcanda la si conosce: cavalca pure dove vuoi ché tanto non la depisti. Al massimo, puoi sviare l'argomento. Con l'unico amuleto (illusorio) a disposizione: il silenzio. Ma non è che la Nera Mietitrice prenda e vada via. Ecco perché forse di lei si deve parlare, soprattutto in un modo: ridendo. Mestiere da comico e, di più, da comico intelligente. Come è Giacomo Poretti, attore e autore. Sul palcoscenico del milanese Teatro Oscar, di cui è direttore artistico insieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi, il «Giacomino» nazionale porta da oggi al 14 dicembre il suo Funeral Home, piéce a due personaggi interpretata insieme alla moglie Daniela Cristofori, diretta dal giovane Marco Zoppello.

Poretti, qualcuno starà reggendo il giornale con questa intervista con una mano sola, lo sa vero?

«Eh sì, la morte fa paura anche solo a parlarne. Ma il compito degli artisti, e di noi teatranti, è mantenere vive quelle parole che rischiano di scomparire. Morte è una di queste».

Curioso che dica «noi teatranti»: si ricorda che lei sarebbe un divo da blockbuster al cinema insieme ad Aldo e Giovanni?

«Siamo tutti partiti dal teatro, e al teatro si ritorna sempre. Io ho sempre voluto calcare il palcoscenico, anche quando facevo altro».

Ad esempio, l'infermiere in ospedale, a Legnano.

«Sì, facevo il turno di notte. E così, Turno di notte, si intitola il romanzo che ho pubblicato da poco per Mondadori. In corsia sono stato undici anni, dal 1975 al 1985. Un pezzo di vita: in ospedale sono entrato per caso, ho cominciato come uomo delle pulizie, poi sono diventato infermiere, infine caposala. Ma, intendiamoci, il libro non è un'autobiografia».

Perché no?

«Perché il romanzo è divertente, mentre in corsia facevo tutto meno che il comico. I pazienti non hanno voglia di ridere, cercano serenità».

Tornando sul palcoscenico: di cosa parla Funeral Home?

«Una coppia di anziani si sta recando a una cerimonia che si scopre essere un funerale. Lui, Ambrogio, non ha voglia di andarci, lei invece, Rita, si è agghindata per bene e se ne fa una ragione. Anzi, la sua missione sarà convincere il marito non solo ad andarci, a quel funerale, ma ad accettare il pensiero sulla morte. Ovviamente, tutto il loro scambio, prima in auto e poi in questa asettica Funeral Home buona per tutti i tipi di riti, con la salma a due passi, è sulle corde della comicità».

Da dove nasce l'idea dello spettacolo?

«Qualche anno fa io e mia moglie mettemmo in scena un reading sul litigio fra coppie, dal titolo Litigar danzando. Doveva essere un gioco, invece durò per trenta serate. Abbiamo pensato di spostare quella stessa coppia più avanti nel tempo, diciamo di vent'anni».

Gli argomenti tabù nei salotti d'oggi sono essenzialmente due: morte e religione cristiana (le altre religioni, sentite come più esotiche, appaiono più chic): perché?

«Perché la modernità ci ha illuso di disinnescare la morte, e con essa il tema dell'Aldilà. Ma, ripeto, il compito del comico è anche sfidare argomenti di questo tipo. La rimozione della morte ci ha portato al mito del Rischio Zero, basta vedere chi teme i vaccini. Pretendiamo che scienza e medicina risolvano tutto, subito e senza rischi. Alla fine, non accettiamo la nostra condizione umana, che è mortale. O forse, oso dire, potremmo capire anche che c'è una ragione nella morte».

Sui temi scomodi, il teatro può osare di più rispetto al cinema?

«Sì, forse perché è uno spazio di nicchia. C'è più libertà. Cinema e web sono più condizionati dal politicamente corretto, che io detesto».

A proposito di cinema: quando toneranno Aldo Giovanni e Giacomo?

«Per ora abbiamo solo qualche idea su carta: dopo le feste di Natale ci troveremo a discutere e a gettare le basi per il prossimo film».

Tour teatrali del trio?

«Non abbiamo più trent'anni... facciamo una cosa per volta, e per bene. E poi realizzare un film ti prende quasi due anni».

Non vi si è visti al ritorno di Zelig in tv, un dolore per i fan...

«Ci è dispiaciuto non partecipare, ma eravamo tutti impegnati su altri fronti: io con questo spettacolo, Giovanni con un film e Aldo era giù in Sicilia.

Ci saranno altre occasioni, sicuramente, per fare qualcosa con Zelig».

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