
Senza tragedie e sfortune, gli Stone Temple Pilots sarebbero sempre stati nel parterre du roi del grunge, un genere del quale oggi sono i più fedeli conservatori. Nel loro disco omonimo c'è il cantante Jeff Gutt (gli altri due vocalist della storia della band, Scott Weiland e Chester Bennington dei Linkin' Park, sono morti) e i suoi toni non portano i Pilots in un altro mondo.
Qui, da Middle of nowhere a The art of letting go, le chitarre hanno «l'accordatura cupa» e la voce conserva quel lamento dell'anima che è la chiave del grunge. Roll me under è un inno sofferente, l'arpeggio di Finest hour riporta subito a inizio anni '90 e il riff di Good shoes sembra arrivare da Sabbath Bloody Sabbath. Un bel disco non soltanto per i nostalgici.
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