Cultura e Spettacoli

"Riparto come solista in un mondo musicale schiavo del consenso"

L'artista parla del disco "Ama il prossimo...". "Io a Sanremo? Di certo non vado in gara"

"Riparto come solista in un mondo musicale schiavo del consenso"

Conciso e concettoso: «Questo è il mio primo album solista e non sarà l'ultimo». «I Maneskin funzionano per magia ma non sono un progetto fatto bene». «La scena alternative rock ormai è fascista». «La nostra classe intellettuale? Inutili Don Abbondio». Manuel Agnelli presenta il suo primo disco solista che ha un titolo «prestato», ossia Ama il prossimo tuo come te stesso e che, già al primo ascolto, risulta uno dei pochi suonati per davvero con un senso compiuto e raffinato. Ha 56 anni, bicipiti ancora scolpiti e capello lungo stile hyppie di Woodstock, per decenni è stato «solo» il leader degli Afterhours adorato dai fans ma sconosciuto a quasi tutti gli altri. Poi è diventato «anche» un volto tv grazie a X Factor, ha vinto un David di Donatello e ora può sostanzialmente scegliere di fare ciò che vuole, dall'essere protagonista di Lazarus, il musical di David Bowie, fino a debuttare da solista in un'età in cui di solito si pubblicano greatest hits. Insomma, resta divisivo, può piacere oppure no, essere amato o disprezzato o ignorato ma ce ne fossero, di musicisti così.

Però perché un disco solista proprio ora dopo decenni di onorata carriera con gli Afterhours?

«Durante il primo lockdown iniziato a fare musica per il gusto di fare musica, suonando cose che avevo in casa, pentole, mestoli eccetera. Poi tutto ha preso forma e ho chiamato dei musicisti».

Debutto da solista significa fine degli Afterhours?

«No, ora gli Afterhours sono soltanto un progetto, torneranno quando avranno qualcosa da dire, magari tra 25 anni».

È stato facile prendere questa decisione?

«Non è mai facile mollare una cosa quando funziona ed è complesso uscire da quella Corazzata Potëmkin che sono i progetti quando diventano importanti. Con loro non ho senza dubbio sofferto la mancanza di rilevanza. Ma mi stava stretto sembrare il canzonettaro, quello che sul palco suonava la chitarra acustica e scriveva le melodie quando ho partecipato alla nascita di pressoché tutte le canzoni della band».

Poi è arrivata la tv. E le critiche di qualche parte del mondo alternative rock.

«È diventato fascista, con troppe regole. Mi sembra un gruppo di lobbisti farisei che cerca di avere in mano le tavole della legge, un modo per avere in mano la situazione, sennò non contano niente».

Comunque X Factor le ha dato tanta popolarità.

«Grazie alla quale ho partecipato anche a un po' di cene nei salotti e mi sono reso conto che ci sono persone che usano la cultura solo per avere rilevanza. Negli ultimi trent'anni c'è stata una destrutturazione culturale pazzesca. Ecco perché abbiamo una classe intellettuale così inutile».

In questo nuovo quadro, ha cambiato parere anche sulla politica?

«Io sono di sinistra da sempre, e spesso sono stato più a sinistra di quanto lo sia oggi. Credo che quanto decretato dalle urne sia una grande occasione per ripartire».

Oltre a Severodonestsk, nel disco c'è anche un altro titolo: Guerra e pop corn.

«Racconta di chi assiste alla guerra dal divano. La tv ha sempre amato la cosiddetta tv del dolore, ma oggi ne vedo poca per ciò che riguarda la guerra. Come prima tutti erano virologi, ora tutti sono geopolitici».

Quanto al pop, invece, tutti sono contabili: cercano la quantità di numeri più che qualità delle canzoni.

«Oggi la cultura che vince è quella del consenso. C'è tanta gente che compone soltanto per avere consenso. Per carità, non è sbagliato sperare di vendere dischi e di avere successo, ma solo se il successo è la conseguenza di qualcosa che abbia senso».

Ha senso recitare in Lazarus, il musical firmato da David Bowie?

«Quello che mi piace di Lazarus è che non è un revival, una riscoperta del passato. È nuovo, è il suo debutto in Italia. Ed è stato scritto da David Bowie, per me un onore enorme».

Sarebbe un onore il Festival di Sanremo?

«In realtà l'ho in qualche modo vinto con i Måneskin».

A proposito, come li vede oggi?

«I Måneskin funzionano quasi per magia, ma non mi sembrano un progetto costruito bene. Sono così giovani e hanno tanti che li tirano per la giacchetta, come diceva quel tale. Mah».

Allora, Manuel Agnelli, tornerà al Festival?

«Se mi offrono un transatlantico d'oro sì.

Ma non in gara».

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