Cultura e Spettacoli

Alla riscoperta di Orazio Gentileschi gran pittore e non solo padre di Artemisia

"La fuga in Egitto e altre storie" per esplorare tecnica ed estro di un maestro

Alla riscoperta di Orazio Gentileschi gran pittore e non solo padre di Artemisia

Mentre la National Gallery di Londra celebra Artemisia con una mostra-evento (se ha ancora senso usare questo termine, viste le limitazioni imposte dal lockdown) supportata persino da Google Arts and Culture, a Cremona si parla dell' altro Gentileschi, il padre Orazio, grande caravaggista toscano prima apprezzato dalla curia romana poi coccolato alla corte di Francia e infine chiamato in Inghilterra da Carlo I. Ultimamente è un po' bistrattato, Orazio Gentileschi (1563-1639). La recente Artemisia-mania lo ha relegato al ruolo di padre simil padrone che fatica a difendere la figlia nel processo di stupro contro il collega e amico Agostino Tassi, preoccupato solo di non infangare troppo la reputazione di famiglia.

Ci si dimentica che fu proprio papà Orazio a intuire il precoce talento pittorico di Artemisia e a introdurla al mondo dell'arte, chiamandola a collaborare al suo atelier. Se Orazio fu il primo fan di Artemisia questo accadde perché era egli stesso un artista che di talento ne aveva da vendere. Ben lo dimostra Orazio Gentileschi. La fuga in Egitto e altre storie (fino al 31 gennaio), allestita nelle sale della Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona, per la cura di Mario Marubbi: l'esposizione si concentra sulla fortunata iconografia legata all'episodio citato dal Vangelo di Matteo della fuga in Egitto della Sacra Famiglia per scappare dalla furia di Erode. L'evangelista liquida la vicenda in una manciata di versetti, gli altri tre vangeli non ne parlano affatto, ma i cosiddetti vangeli apocrifi abbondano invece di dettagli sul viaggio, le soste e le persone incontrate quasi fosse una favola. È anche da queste narrazioni che molti artisti attinsero, fin dal Medioevo e poi molto nel Seicento e nel Settecento, per dar forma e colore all' avventura egiziana di Gesù bambino.

Nella terza sala dell'esposizione cremonese vediamo, per la prima volta una accanto all'altra, due delle quattro versioni del Riposo durante la fuga in Egitto ideate dal Gentileschi: a sinistra quella che appare come una prima versione, proveniente da una collezione privata mantovana, e a destra la cosiddetta versione-capolavoro, prezioso prestito del Kunsthistorisches Museum di Vienna. I dipinti restituiscono la grandezza di un artista che seppe fissare su tela la delicatezza materna della Madonna e l'abbandono scomposto di Giuseppe (pare uno degli ubriachi popolani che ogni tanto Caravaggio usava quali comparse per le sue tele). Il vero colpo di genio sta poi tutto nell' occhio adulto di Gesù Bambino che scruta guardingo l'osservatore: Gentileschi è interprete precoce e spregiudicato della lezione caravaggesca e non a caso azzarda queste due versioni (altre due, meno belle, si trovano al Louvre e al Museo di Birmingham) quando è già una star internazionale della pittura, contesa da corti e nobili d'Europa. La sua Sacra Famiglia è apparentemente molto normale: ci sono un padre esausto e una mamma che, amorevole, allatta il figlio, ma è la luce tangente, che squarcia l'ombra, a rendere l'ordinario straordinario.

Altri lavori, lungo un percorso espositivo ben allestito che si apre con uno spezzone del Vangelo Secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, meritano particolare attenzione: l'opera intagliata del lodigiano Callisto Piazza, le interpretazioni intense nelle pitture del Savoldo, del Procaccini e del Piccio, per non parlare della soave tela dipinta dal Tiepolo. Tre le perle: l'incantevole Sacra Famiglia (un interno domestico con due donne e un neonato in culla) di Rembrandt, maestro di luce, e i due lavori di arte moderna che suggellano la mostra.

Uno è il dipinto tardo-ottocentesco, in prestito dal museo di Nizza, firmato da Luc Merson, che presenta una scena quasi surreale dominata da una sfinge, e l'altro è un quadro degli anni Trenta della collezione del Mart di Rovereto in cui Mario Sironi ambienta la Sacra Famiglia nelle geometriche architetture a lui contemporanee.

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