nostro inviato a L'Avana
Niente, loro ballano. Non gli importa conoscere la canzone: importa ballarla. Agilissimi. Ritmati. Giovani e anche meno giovani. Belli o anonimi o indifendibili. Praticamente un rito collettivo in una città che di riti collettivi ne conosce molti ma quasi mai sono volontari. Questo invece sì. E non c'era stata manco la pubblicità ad aiutarlo, solo il passaparola: «Siamo riusciti a ottenere che qualche taxi avesse la nostra locandina appiccicata alle portiere» ha spiegato Zucchero. Dopotutto, è stato il «gran concierto gratuito» che lui ha organizzato sabato sera (anche a spese proprie) nel parco dell'Instituto Superior de Arte e loro - i cubani arrivati fin qui da tutta l'isola - non avevano mai visto un palco così spettacolare. Un investimento da cinquecentomila euro. Tutti gli schermi e i ponteggi e gli amplificatori arrivati direttamente dall'Italia. Una band favolosa con tre percussionisti, due batterie, fiati e coristi e per di più piena zeppa di fuoriclasse cubani. Ventidue persone in tutto. E, ai lati del proscenio, giusto per dare l'idea del luogo, c'erano due silenziose sigaraie, austere ed extralarge come quelle in Calle de los mercaderes, che Zucchero a fine concerto ha definito i «miei angeli custodi». «La più grande produzione straniera finora messa in piedi all'Avana» si era sbilanciato il cautissimo viceministro della Cultura.
Vero. Oltretutto, per uno show di due ore e mezza che, se non fosse di un italiano, noi italiani saremmo in ginocchio ad applaudirlo senza se e senza ma per quanto è stato pieno di musica. Magari Zucchero avrebbe dovuto spiegare meglio le proprie canzoni a un pubblico che in parte non le conosceva. O essere appena più espansivo. Ma come le ha cantate! A parte qualche problema fonico all'inizio, da Vedo nero fino ai duetti finali, è stato un tour de force di soul e rhythm'n'blues stellari. Lo aveva previsto Radio Italia, che ha offerto la trasferta ad alcuni suoi ascoltatori. E forse lo pensava anche quello sperduto ragazzo che agitava il tricolore giusto alla sinistra del palco mentre, appena dopo l'iniziale Nena, esplodeva una potentissima Un kilo. Impressionante. Un tappeto umano di ballerini probabili o improbabili ma comunque scatenati, circa quarantamila secondo stime più o meno ufficiali, che da sotto al palco arrivavano fin sulla collinetta a duecento metri di distanza (e potevano intuire cosa accadesse in scena grazie a un megaschermo che qui prima se lo sognavano). Caldo. Caldissimo. Umidità tropicale. Qualcuno si amava di nascosto da tutti. Molti si divertivano scatenandosi canzone dopo canzone. «Questo concerto è per il popolo cubano (non per Fidel Castro ndr.)» ha subito garantito Zucchero: «Come diceva Che Guevara, bisogna essere duri senza perdere tenerezza». E poi ha allungato due dediche a celebrare questo gran «concierto gratuito»: una al «popolo cubano». E l'altra a John Lennon, ricordato come un «grande poeta del rock» (citando anche alcuni versi di Instant karma prima di Spicifrin boy).
Insomma sabato sera è andato in scena uno degli show più grandi che un italiano abbia mai tenuto all'estero. Soprattutto: un concerto a se stante, quasi misterioso o forse miracoloso, la celebrazione di un disco come La sesiòn cubana che Zucchero ha registrato qui la scorsa estate diventando cubano tra i cubani. Forse per questo l'altra sera lo ha cantato quasi per intero (da Ave Maria no morro a Love is all around a Never is a moment fino a Guantanamera) mescolandolo ai successi conclamati come Baila o Miserere o Per colpa di chi e Senza una donna. Intimidito per un po', ha fatto decollare il concerto quando è salito in sella alla sua voce ed è tornato a essere il mattatore sornione che da un pezzo si conosce in tutto il mondo: poche parole, molto blues e molto tradizionale. Sempre suonato come si deve. Lo (ri)vedremo l'8 gennaio su Raidue, probabilmente in prima serata, da quando entra sul palco con la chitarra e gli occhi bassi fino al decollo dello show e poi al saluto finale, giusto un secondo dopo i duetti.
Forse saranno rimaste fuori dalle telecamere le processioni di cubani che tornavano a casa dopo che si era spenta la musica. Silenziosi ma festanti. Forse appena più contenti di svegliarsi il mattino dopo agli ordini rassegnati di un'idea che non c'è più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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