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Come diventare un ottimo attore: tutti i segreti di Russel Crowe

La masterclass che il divo hollywoodiano ha tenuto di fronte a centinaia di ragazzi è stata a dir poco travolgente, un one-man show pieno di aneddoti divertenti e di insegnamenti molto seri

Come diventare un ottimo attore: tutti i segreti di Russel Crowe

Russell Crowe, nella capitale per presentare il suo film da regista Poker Face, in anteprima alla Festa del Cinema e dal 24 novembre nelle sale, è stato protagonista di una masterclass che ha sovvertito ogni regola prestabilita e si è trasformata da subito in uno spettacolo unico nel suo genere e di assoluta utilità per i tanti studenti di cinema presenti tra il pubblico. Malgrado proprio questi ultimi fossero il target di elezione del divo, in realtà i consigli da lui dispensati sono stati di valore universale.

Il piglio è ancora quello del gladiatore quando Crowe appare all’improvviso, senza alcuna presentazione, da un ingresso laterale della platea. Mischiandosi a chi sta ancora prendendo posto ma sottolineando l’entrata a gran voce con un effetto sorpresa che ha mandato subito in delirio i fan, l’attore ha poi raggiunto il palco solo per il minuto necessario a chiarire le regole del suo intervento, ovvero “nessuna regola”. Crowe, avvertiti i cerimonieri che non seguirà la scaletta, scende di nuovo tra il pubblico e lì si intrattiene per la successiva ora e mezza camminando tra le file di poltroncine e porgendo direttamente il microfono a chi ha da fargli domande.

Inizia così a parlare di quando da bambino visitava i set con la madre addetta al catering e a sei anni partecipò come comparsa in una serie tv. Originario della Nuova Zelanda, "non nato in Australia come dicono tutti", ha lavorato come deejay e barista mentre restava ossessionato dalla recitazione e dalla musica. "Tanta gente non sa cosa vuol fare ma chi lo sa è fortunatissimo e deve seguire la propria passione, convogliare energia verso ciò che gli piace". Avverte gli aspiranti attori: "Dovete accettare che il vostro lavoro sia ogni volta a termine e se ne debba cercare altro; in questa professione serve quel poco di ego atto a fare da autoprotezione di fronte alle delusioni e ai rifiuti cui si è inevitabilmente soggetti". Poi rassicura i giovani che abbandonano il paesino sperduto per cercare di realizzare i propri sogni nelle grandi città: "Ti percepirai fuori posto, a volte penserai persino di essere un impostore, ma è la vita, è capitato a tutti". A riguardo ricorda come ci volle mezza giornata, ai tempi de “Il Gladiatore”, per convincere Joaquin Phoenix di essere all’altezza di indossare i panni di Commodo. "Facile credere che tutti tranne noi sappiano cosa stanno facendo, ma non è così". Sottolinea come sia importante creare solidi rapporti sui set ma anche che non occorra fare networking, perché "se fai bene il tuo lavoro tutto viene da sé".

Riguardo a termini come ribellione e coraggio, tiene a precisare: "Dovendo porsi al servizio di un regista e fare infinite prove, devi essere in grado di avere autocontrollo e disciplina, perché l’equilibrio è più importante dell’estro e", come ricorda essere successo a lui nella scena in cui Decimo Massimo Meridio torna a casa e scopre la moglie morta, "per quanto tu possa improvvisare una performance eccezionale, potranno farti i complimenti ma chiederti di rifarla nel modo pattuito".

Interrogato su quale sia stata la sfida più bella della sua carriera, risponde che le più impegnative sono state “A beautiful mind” dal punto di vista psicologico e “Cinderella Man”, invece, a livello di fisicità. Il primo perché prevedeva di recitare con un crescendo di tic legati alla patologia del personaggio, arrivando a simularne sedici in contemporanea, il secondo perché su settanta giorni di riprese, trentasei furono sotto la pioggia di scena (tra l’altro fredda) e si dovevano dire battute quando magari si riusciva appena ad aprir bocca.

Poi suggerisce di non correre sul set e si capisce che lo dica in senso letterale e metaforico: "Se non volete bruciarvi la carriera, dovete mantenere il giusto passo, il che richiede coerenza e continuità, requisiti fondamentali per stare lontani dalla confusione e guadagnare quindi tempo". Insiste sulla necessità di "fare quel che chiede il regista ma non sprecare energie in cose che non rientrano nell’inquadratura» perché «il regista deve usare attori di cui si fida, ma non serve ne conosca la tecnica".

La sua più grande delusione è forse legata a “I miserabili”, musical nel quale ebbe un ruolo da lui molto amato ma in cui, dopo che il film passò al montaggio, esitò a riconoscersi al punto da abbandonare l’anteprima newyorkese a metà film.

"La vita è crescere, cambiare, invecchiare. Un giorno sei lì che lavori con gente più grande di te e poi di colpo ti ritrovi con intorno tutti più giovani e quel che devi fare è aiutarli proprio come un tempo, agli inizi, altri avevano aiutato te". Il momento è giusto per tirare le fila e precisare: "esistono due parole chiave nel cinema: dettaglio e collaborazione". Come in qualsiasi altro campo dell’esistenza, del resto.

Un vero gigante capace di mettersi ad altezza di ragazzo e di dare dritte impagabili farcendole di esternazioni colorite che le facciano sembrare abbordabili.

Insomma, in un incredibile crossover tra “Il Gladiatore” e “L’Attimo Fuggente”, elargendo sorrisi e riflessioni in una vicinanza

anche fisica totale col pubblico, quest’uomo la cui figura richiama oggi quella di un buddha di ritorno da un baccanale, ha regalato brividi e risate, vitalità e saggezza. Un leader molto paterno, Mr. Crowe.

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