Forse la scena più importante di Sangue sparso (il film di Emma Moriconi che uscirà domani nelle sale) è quella in cui i ragazzi si riuniscono in sezione per commentare il «ricatto» del partito (Msi). Sono demoralizzati. I vertici li hanno messi di fronte a un aut-aut: o raccogliete le firme per l'istituzione della pena di morte o chiudiamo la sezione. E non è una sezione qualunque. È la «cellula» di Acca Larentia, passata alla Storia per l'eccidio in cui persero la vita tre giovani attivisti. La Moriconi supera l'impaccio di un mezzo molto complicato da gestire come il racconto filmico per ricostruire quegli anni.
Una docu-fiction che alterna il presente (con un narratore che ritorna a distanza di anni sui luoghi della memoria, i luoghi segnati dal sangue) a quei giorni violenti e convulsi. Appassionata e necessariamente didascalica la regia di questo film vuole celebrare quei morti (tanti, troppi) come caduti per un'idea, caduti per una passione politica. Una passione e un bagaglio ideologico sporcati dal piombo e dall'odio. Uno dei protagonisti di quella riunione (la stessa Emma, in un personaggio d'invenzione) sprona i sodali. «Volete tornare alla vita normale? Guardare la tv la sera e il sabato andare al cinema?». Ma la loro vita è tra quelle quattro mura ricche di simboli e manifesti che per gli avversari sono segni di odio, per loro tracce d'identità. Il lungo e drammatico racconto si apre con la morte di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta (1978), per chiudersi con quella di Paolo Di Nella (1983). E proprio nel corridoio dell'Umberto I gli amici di Di Nella commentano increduli, certo non compiaciuti, l'arrivo del presidente Pertini. Un gesto forte quello dell'ex partigiano antifascista. Le cronache di allora ricordano le sue lacrime e il suo martellante refrain («sono il presidente di tutti»).
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