Mentre l'Inghilterra è sotto choc per l'attentato terroristico di ieri, a Manchester, se ne va il più autorevole rappresentante della cosiddetta «Cool Britannia». Prima che il termine fosse inventato a indicare l'orgoglio inglese per la cultura nazionale, Sir Roger Moore ha incarnato James Bond sette volte, collocando il proprio iconico modo di fare british tra il Giubileo d'Argento, nel 1977, e la rinascita degli anni Ottanta. Nessuno meglio di lui, per il «James Bond International Fan Club», ha impersonato l'agente segreto di Sua Maestà dopo che Sean Connery, nel 1972, la fece finita con il ruolo: fino al 1985, Moore ha traghettato la celeberrima spia dalla generazione di Ian Fleming a quella di Daniel Craig.
Eppure lui stesso sosteneva d'essere un attore modesto, passato nel posto giusto al momento giusto. Quante prese in giro autoironiche, tipiche del gusto inglese per il sottotono furbetto, l'hanno reso simpatico. Come quando, all'anteprima londinese di Moonraker, nel 1979, imitò Filippo d'Edimburgo, un altro che di sfottò se ne intende. Toccandosi i gemelli della camicia, mettendosi le mani in mano con sussiego, come fanno i reali, Sir Moore non si faceva prendere sul serio. «Quando ho cominciato la mia carriera mi dissero che per avere successo ci volevano talento, personalità e fortuna. Io ho avuto il 99,9 per cento di fortuna e un'altra percentuale minuscola di talento. Ero capace di star bene in piedi e questo è tutto. Tutta fortuna», dichiarò in un'intervista alla Fox. Per sei decadi ha mantenuto una carriera stellare, dividendosi tra cinema e tv, ma tutti lo ricorderanno per essere stato l'attore che più a lungo ha impersonato l'affascinante super-spia, in grado di mantenere i nervi a posto davanti ai dentoni d'acciaio di Jaws, in La spia che mi amava (1977) e di non fare una piega se le bellissime Maud Adams o Britt Ekland lo seducevano in L'uomo dalla pistola d'oro (1974). Puro stile anglosassone.
Roger Moore era figlio unico d'un poliziotto londinese in servizio nelle zone periferiche della città, quando non s'immaginava che cosa sarebbe diventato il terrorismo islamico nei sobborghi londinesi. Colui che avrebbe portato James Bond ad alti livelli, dopo George Lazenby e Connery, aveva il fisico del ruolo: sardonici occhi blu e chioma biondo cenere elegante, indossati con indifferenza utile a ripetere il tormentone: «Io mi sto divertendo, e tu?». I critici ce l'avevano con lui, perché mancava di spessore. Ma Moore conosceva i suoi limiti e ci giocava beffardo. «Quando ho interpretato Il Santo avevo due espressioni; come Bond, dovevo averne quattro», sfotteva.
Nato nel 1927 ad Aldebert Terrace, Lambeth, conobbe la dignitosa povertà degli impiegati statali, ma il padre policeman gli fece frequentare scuole elementari e medie a Stockwell, dove vinse una borsa di studio per la Grammar School di Battersea. Allo scoppio della guerra, nel 1939, dovette trasferirsi a Worthing, nel Sussex. Nulla faceva pensare a un'ascesa nel mondo dello spettacolo: Roger era un bambino tranquillo, che parlava con l'accento cockney della strada. Ma l'arte gli piaceva e a 16 anni divenne assistente in uno studio londinese specializzato in cartoni animati. Nel frattempo, faceva la comparsa ai Denham Studios, dove, nel 1944, Brian Hurst notò la sua figura slanciata, convincendo papà Moore a iscrivere il ragazzo alla Royal Academy of Dramatic Art: ci volevano 17 ghinee, mentre Londra scoppiava di attori giovani in cerca di scritture. Ci pensò il National Service a spezzare quei sogni, arruolando Roger, per trasferirlo in Germania, dove conobbe Doorn van Steyn, sposata a 19 anni. Privo di risorse, a Londra andò a vivere con la sorella di lei. Nel 1952 divorziò per sposare la cantante Dorothy Squires e trasferirsi negli Usa. Girò una serie di film mediocri, come L'ultima volta che ho visto Parigi, con Liz Taylor, poi venne la serie tv Ivanohe, cui seguirono le serie britanniche Il Santo, col ladro gentiluomo Simon Templar, e Attenti a quei due, con Tony Curtis. In un breve ritorno al cinema, ecco il sandalone Il ratto delle Sabine, girato a Roma nel 1961 con Luisa Mattioli, per la quale divorziò.
Il suo 007 playboy, ma bravo detective è durato 12 anni (dal 1973 al 1985), Moore figurando come l'attore più anziano per Bond: aveva 45 anni al debutto nel ruolo e 58 quando annunciò il ritiro. «Ormai sono in imbarazzo: io sono sempre più vecchio e le Bond Girls sempre più giovani», spiegava con classe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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