“Un sapore di ruggine e ossa”, lezione di vita al cinema

Arriva nelle nostre sale un film duro e toccante che esplora la capacità di rinascita dell’essere umano

“Un sapore di ruggine e ossa”, lezione di vita al cinema

Jacques Audiard è un regista che partendo dai bisogni di un personaggio, li oltrepassa e va a indagare l’intera condizione umana. Il suo ultimo film parla dell’esistenza di particolari difficoltà nella vita grazie alle quali l’uomo può raggiungere una consapevolezza superiore, maturare una nuova visione del mondo e della realtà e dare quindi un significato diverso alla propria esistenza.

“Un sapore di ruggine e ossa” è un’opera che attraverso il potere delle immagini e una regia molto evidente e manifesta, esplora la psicologia del profondo di due persone, due anime sole. Ali (Matthias Schoenaerts) è un padre single, solitario e indigente, che lascia il nord della Francia per andare a vivere col figlioletto di cinque anni ad Antibes, a casa della sorella. Qui conosce Stephanie (Marion Cotillard), una giovane ammaestratrice di orche marine. Quando la ragazza, a seguito di un terribile incidente sul lavoro, si trova mutilata e costretta su di una sedia a rotelle, lui le restituisce piano piano la voglia di vivere e lei gli insegna ad amare.

La Cotillard, padrona di una grazia che nasce dall’unione di forza, intensità e fragilità, mostra l’amputazione dello spirito che avviene in una giovane donna quando perde entrambe le gambe; è la degna protagonista assieme ad un grande Matthias Schoenaert, col quale la comunicazione verbale è ridotta ai minimi termini, ma con cui attraverso gesti ed espressioni si dice moltissimo. Questo è un cinema intimo, fatto di silenzi, pause, primi piani e sguardi, che premia la forza evocativa delle immagini anziché la retorica delle parole.

Il personaggio di Ali è ruvido ma capace di una delicatezza reale, essenziale; come le bestie è abituato a sopravvivere e conosce le cose davvero fondamentali, prive di orpelli; va dritto ai bisogni primari, cibo, sesso, un riparo; è una specie di cavernicolo che diventa un disastro quando deve imbrigliare la spontaneità animale in usi e costumi civili e posticci, perché le sovrastrutture, gli artifici, lo confondono. Anche se è più vicino di molti al senso della vita e conosce il potere rinvigorente della bellezza, della natura e della libertà, non sa elevarsi dal materiale allo spirituale. Parafrasando il titolo, sarà lei, una volta fatta pace con le proprie ossa amputate, a rimuovere la ruggine che paralizza l’emotività in lui, perché gli insegnerà quello che è l’unico bisogno vitale cui non si è mai abbandonato: l’amore.

La poesia della fotografia controsole di cui la locandina del film è un breve cenno, resta nel cuore perché è un inno alla benedizione dell’esistenza, qualsiasi essa sia.

“Un sapore di ruggine e ossa” insegna a trascendere le difficoltà e lo fa prendendo a pugni nello stomaco più che puntando a commuovere. E’ uno di quei rari film la cui visione costituisce un regalo che ognuno dovrebbe avere il coraggio di farsi.

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