Cultura e Spettacoli

«Sarò Mario Nardone, un commissario vero emigrante di successo»

«Sarò Mario Nardone, un commissario vero emigrante di successo»

RomaPrima di girare una scena d'azione aveva deciso: «Non userò mai la pistola. Penso che quel poliziotto lì non fosse tipo da sparatorie». Così Sergio Assisi non s'è stupito scoprendo che «quel poliziotto lì» (ovvero il commissario Mario Nardone, capo della Mobile di Milano negli anni '50 e '60), intervistato una volta da Enzo Biagi aveva candidamente confessato: «Non uso mai la pistola. Ho sparato solo qualche volta». Come a dire: l'intuizione dell'attore che coglie la natura del personaggio.
Perché Il commissario Nardone (sei puntate dirette da Fabrizio Costa, pronte da due anni e finalmente in onda in autunno su Raiuno) racconta - appunto - di un poliziotto vero. Che fu anche uno straordinario personaggio. «Strano - dice Assisi - che nessuno abbia pensato prima di fare una fiction su di lui. Fra tanti poliziotti finti, eccone uno così autentico da sembrare inventato».
Perché? Chi era il commissario Mario Nardone?
«Un avellinese, trasferitosi nella nebbiosa Milano del dopoguerra per aver denunciato alcuni colleghi corrotti. Onesto, dunque. Ma soprattutto capace: nella “capitale morale” alle porte del boom si trova come a casa sua. E con rare doti d'intuizione e penetrazione psicologica risolve clamorosi casi, come la “rapina del secolo” a via Osoppo, o la strage di via San Gregorio, compiuta da Rina Fort. Infine inventa la Squadra Mobile: un modello di nucleo investigativo poi copiato in tutto il mondo».
Eppure nelle foto, con quei baffetti sottili, la chioma imbrillantinata, sembra un comune signore anni '50...
«Proprio qui sta il bello: doti eccezionali in un aspetto quasi banale. Era Superman senza sembrarlo. E poi la grande umanità, che più di tanti sofismi tecnologici l'aiutava nelle indagini. Contrapposto a una criminalità ancora governata da “codici d'onore”, Nardone sapeva mettersi al livello dei delinquenti cui dava la caccia. Riusciva a ragionare come loro. Ma meglio di loro. E li beccava tutti, inesorabile».
Quanto peso ha nel personaggio (e nel suo interprete) la napoletanità?
«Fondamentale. Nardone è uno dei tanti uomini del Sud che, emigrati al Nord, sono riusciti a inserirsi, a farsi rispettare, a far grande Milano. Lui amava questa città; e la città ricambiò. E poi c'è la naturale simpatia, tutta partenopea, del personaggio. Che è ironico, disincantato, spiritoso, verace».
Interpretato anche da Giorgia Surina, Stefano Dionisi e Anna Safroncik, girato in una Belgrado che ricorda tanto la Milano degli anni '50 (tranne alcune scene realizzate nella vera piazza del Duomo), Il commissario Nardone era pronto già da due anni e mezzo. Perché va in onda con tanto ritardo?
«Siamo fortunati che ci vada, in onda. La spiegazione ufficiale è: palinsesti troppo pieni. Ma su questo preferisco non pronunciarmi. Direi cose sgradevoli. Mi limito a osservare che è assurdo produrre lavori con tanta spesa e tanta cura per poi tenerli per anni chiusi nei cassetti. Già noi attori facciamo un lavoro con cui si scrive sull'acqua. Se poi in acqua finisce il nostro lavoro...».
Lei ha da poco ultimato le riprese di un film accanto a Maria Grazia Cucinotta. Di che si tratta?
«È una commedia sentimentale diretta da Dario Baldi, C'è sempre un perché, in cui interpreto un playboy impelagato in intrecci amorosi. È stata girata fra la Sicilia e la Cina. Inoltre sto completando la scrittura del copione nel quale vorrei esordire come sceneggiatore, produttore, regista e interprete: Al sud non piove mai».
Ritorno al cinema, dunque, topo tante (e popolarissime) fiction: Elisa di Rivombrosa, Zodiaco, Capri...
«Delle quali sono orgoglioso. Il provincialismo dei nostri pseudo-intellettuali spinge a pensare che l'attore di cinema sia di serie A, mentre quello di fiction sia di B. In realtà l'attore è attore.

Andate a chiederlo alle star americane, metà delle quali sono nate in tv!».

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