La Scala punta sullo streaming e sulle opere "made in Italy"

I teatri in difficoltà cercano soluzioni per non fallire. Si va dalle dirette video alla ricerca di spazi diversi

La Scala punta sullo streaming e sulle opere "made in Italy"

«Speriamo di non fare Natale come stiamo facendo Pasqua», dice Fortunato Ortombina, sovrintendente della Fenice di Venezia, teatro che è passato dall'emergenza acqua alta a quella da Covid-19. Per i teatri d'opera il dilemma della ripartenza si moltiplica alla n muovendosi con una macchina che ha decine di musicisti nella buca d'orchestra, altrettanti in palcoscenico fra coristi e solisti, più i tecnici: tutti ravvicinati. E fra loggione, palchi e platea, centinaia di spettatori.

I sovrintendenti disegnano piani alternativi a seconda dell'evoluzione dell'emergenza. Spuntano idee che potrebbero essere la bell'eredità lasciata in dote dalla pandemia. Una cosa è certa: «il sistema dovrà essere ancor più al servizio del cittadino» dice Ortombina mentre Sebastian Schwarz, sovrintendente a Torino, mette a disposizione la sartoria del Regio per confezionare mascherine per la protezione civile.

In queste settimane, i teatri sono sbarcati o sono ancor più attivi sul web, in sostanza vuol dire: spettacoli in streaming. L'operazione non fa cassa, serve a fidelizzare il pubblico, tiene la fiamma viva. D'ora in poi, il grande tema sarà la digitalizzazione, e c'è molto da fare se prendiamo come riferimento il numero di iscritti al canale YouTube del Metropolitan (128mila) o Covent Garden (718mila), in tal senso la migliore performance italiana è quella della Fenice con 53mila iscritti, a un soffio dai 61mila dell'Opera di Parigi.

Già in epoca pre-pandemia, il sovrintendente della Scala Dominique Meyer espresse l'intenzione di portare a Milano il modello - o parte di esso - testato nell'ultimo teatro da lui diretto, l'Opera di Vienna: edificio cablato, spettacoli registrati e mandati in onda previo abbonamento. L'idea di partenza di Meyer combacia con quella dei sindacati dei lavoratori scaligeri che in una lettera chiedono di andare nella direzione dello streaming. I dettagli verranno stabiliti nei prossimi giorni. Nel frattempo, dal 23 marzo produzioni della Scala sono fruibili su Raiplay e su Rai5.

Ortombina per la ripartenza pensa a spettacoli in teatro con pubblico contingentato e repliche web, a questi aggiungerebbe anche titoli creati apposta per il digitale. Opere sul tema Covid? «No per carità, ci sono già tante malattie nelle opere liriche, tisi, follie». Fulvio Macciardi, sovrintendente del Comunale di Bologna e vicepreside Anfols (associazione fondazioni liriche), punta sulla riorganizzazione degli spazi «con l'orchestra in platea, così da distanziare i musicisti, e gli spettatori nei palchi. Potremmo anche utilizzare spazi diversi come padiglioni industriali e infrastrutture inutilizzate». È chiaro che alzate di sipario come queste, con poco pubblico, sono economicamente a perdere. Del resto, concordano i manager, per un bel po' bisognerà dimenticare la cassa.

Streaming che giustificherebbe anche gli stipendi delle maestranze teatrali che così tornerebbero operative. Al momento i dipendenti stanno usufruendo di ferie e permessi, chi li ha finiti è in cassa integrazione la quale dura 9 settimane portate a 13 nelle regioni dove la serranda è abbassata dal 23 febbraio. Cambia il discorso con l'ampio mondo dei freelance, dai direttori d'orchestra ai registi, scenografi, cantanti: non tutti con i requisiti per accedere ai bonus. E non tutti numeri uno, con quel che ne consegue.

Stima dei danni per i teatri. La Fenice di Venezia ha già perso 7 milioni di incassi, pari a 1/5 del bilancio. Al Regio di Torino, mancano 1.5 milioni di incassi a fronte di un bilancio da 37 milioni, mentre il Comunale di Bologna ha perso 800mila euro, ma per il mese in corso sarà anche peggio da qui a maggio dato l'alto numero di alzate di sipario (bilancio: 22 milioni). La Scala inizialmente perdeva 1 milione a settimana e l'Opera di Roma fa -4,4 milioni.

Chiudiamo con una nota positiva. Per un bel po', sarà difficile viaggiare di continente in continente, e per certi versi nella stessa Europa: gli artisti sarebbero disposti ad affrontare la quarantena una volta messo piede in terra straniera? L'esito di tutto questo è comprensibile, finalmente si attingerebbe con più convinzione al patrimonio artistico italiano. In breve, cast, regie, scenografie potrebbero avere un tocco Made in Italy. Non c'entrano sovranismi, antieuropeisimi, anti-trumpismi, anti-Vie della Seta.

È quel pizzico d'amor patrio in più e minor esterofilia che male non fa. E comunque, è questione di far di necessità virtù. Rinunceremo alla verosimiglianza di Turandot e Butterfly dagli occhi a mandorla, ma guadagneremo in doppie ben pronunciate.

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