Bosé è sempre Bosé, mattatore ispirato. Gli occhi segnati dal kajal, l'italiano che sa di spagnolo, ieri ha parlato del suo mondo, e di quello degli altri, passando attraverso le canzoni del nuovo disco Amo , che è il primo dopo cinque anni ed è inzuppato come sempre dalla sua personalissima voracità stilistica: «Nella versione italiana ci sono anche quattro brani cantati nella vostra/nostra lingua, però qui piaccio di più se canto in spagnolo», ha spiegato ancora in pieno jetlag perché arriva dall'altra parte del pianeta. «Ora vivo a Panama City», dove peraltro è nato 58 anni fa, e poi spiegherà il perché. Intanto ha incasellato questi quindici brani, che sono il biglietto da visita di un artista con una personalità così forte da poter essere se stesso ovunque vada, cinema, palco o tv che sia.
Dopotutto, caro Bosé, ormai è un artista multinazionale.
«E difatti ho deciso di andare a vivere a Panama, che è l'ombelico del mio mondo visto che, a parte Italia Francia e Spagna, il novanta per cento dei miei ascoltatori sono in America. Finché ero solo, mi imbarcavo senza difficoltà in viaggi e tournèe lunghe mesi o anni. Ma ora non più».
C'è da immaginarsi il perché.
«Da quando ho due coppie di gemelli è un dolore troppo grande lasciarli da soli. Hanno intorno ai quattro anni e, se non mi vedono per settimane, poi rischio che al mio ritorno mi chiamino zio o nonno... Perciò meglio Panama, da dove posso raggiungere tutta l'America in poche ore senza viaggi pazzeschi».
La quadratura del cerchio.
«Ho anche chiesto a mia mamma Lucia di venire anche lei. Lì per lì mi ha chiesto: E io che cosa ci faccio là?».
Risposta?
«Fai la nonna. Ed è venuta».
Però questo è un disco globale, mica local: è cantato in tre lingue e ha pure riflessi politici.
«Sono curioso da bambino, da quando leggevo Verne, Asimov, Tolkien sotto le coperte del letto illuminando le pagine con una torcia elettrica. Sono cresciuto nella Spagna di Franco, con un mondo in bianco e nero e senza biblioteche. Però nella mia famiglia ce n'era una, mia mamma era una musa del neorealismo e, anche se non sapeva quasi scrivere, mio padre (il torero Luis Miguel Dominguín - ndr ) era un uomo molto intelligente».
Anche oggi la Spagna sembra in bianco e nero.
«Non per nulla nel disco c'è un brano che si intitola Sì se puede , che è una versione aggiornata del «Yes we can» di Obama. La Spagna ha fatto un disastroso passo indietro grazie a un governo incompetente. Ma forse ora l'arrivo di un movimento come Podemos, che fa discorsi di buon senso e spariglia il rigido bipartitismo degli ultimi decenni».
Anche in Italia i colori non sono proprio brillanti. A proposito: il suo primo successo qui è del 1979, Super Superman . Poi, intorno a metà degli Ottanta si è eclissato.
«Qui ho perso il contatto con il pubblico con il disco Bandido del 1984, che era molto più sperimentale rispetto alle aspettative dei miei fan italiani, anche se all'estero ha avuto molto successo».
Si è spiegato perché?
«Faccio sempre l'esempio di Alberto Sordi, senza naturalmente paragonarmi a lui. Ogni volta che faceva i film che il suo pubblico si aspettava, era considerato il più grande. Ma quando ha fatto qualcosa di diverso, non è andata altrettanto bene».
Tutta colpa della sua curiosità.
«È tuttora insaziabile, leggo di tutto, l'ultimo libro ad esempio è stato The rest is noise di Alex Ross, critico del New Yorker , bellissimo».
Sempre su e giù per il mondo lei è un testimone attendibile della nostra musica all'estero.
«Beh Laura Pausini è la più grande, ha persino più Latin Grammy di me! Poi naturalmente Eros Ramazzotti, Tiziano Ferro che ha riconquistato il pubblico messicano, e Jovanotti, i cubani sono pazzi di lui».
Scusi Bosé, ora che ha un disco nuovo perché non passa anche dal Festival di Sanremo?
«Sarebbe stato perfetto ma mi hanno spiegato che lì quest'anno preferiscono le band rock...».
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