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"Senza amore non c'è storia e dietro ogni capolavoro c'è una musa dimenticata"

Trentasei vite di donne che si sono dedicate a grandi artisti. Da Veza Canetti a Nadezda Mandel'stam

"Senza amore non c'è storia e dietro ogni capolavoro c'è una musa dimenticata"

Dopo L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, uno dei bestseller italiani dell'ultimo anno, Alessandro D'Avenia ha scritto Ogni storia è una storia d'amore, appena pubblicato, come i suoi romanzi precedenti, da Mondadori (pagg. 322, euro 20): trentasei storie di donne, muse di grandi poeti, artisti, scrittori, che raccontano l'amore (e il disamore). Storie di grande dolore, come quella di Elizabeth Siddal e Dante Gabriel Rossetti o di Caitlin e Dylan Thomas, altre tragiche, come quella di Sylvia Plath e Ted Hughes o di Jeanne e Amedeo Modigliani; altre bellissime, come quella di Carol e Julio Cortázar, o di Fellini e Giulietta Masina. «I due libri sono uno la costola dell'altro» dice lui, seduto in un caffè vicino al Collegio San Carlo di Milano, dove insegna Lettere al liceo.

Qual è il collegamento?

«Stavo lavorando al libro su Leopardi, al capitolo sul suo amore tormentatissimo per Fanny Targioni Tozzetti. E ho capito che questa anti-Musa aveva generato il nucleo di poesie che è Il ciclo di Aspasia, così profetico che sembra scritto un secolo dopo, specialmente A se stesso. Così mi sono chiesto: qual è il nucleo dell'identità del poeta toccato da questa storia?».

E così ha scritto queste storie d'amore...

«Ne ho scritte di getto più di quaranta, poi ne ho selezionate trentasei. Nel primo libro scandaglio l'intuizione che ogni uomo sia un destino e possa afferrarlo solo se entra in contatto con il suo nucleo più fragile. Qui sono consapevole che l'amore è la chiamata che permette a questo destino di entrare, e farsi eventualmente destinazione».

Senza amore non c'è storia?

«Non c'è un protagonista di una storia se non c'è un desiderio per cui combattere».

Ha scritto un romanzo per ciascun anno di liceo. Questo è il quinto.

«L'anno della maturità. Mi piaceva l'idea di affrontare un tema sollecitato continuamente a scuola, che è l'educazione sentimentale dei ragazzi».

Come avviene?

«Attraverso il mito di Orfeo e Euridice, che è il filo che intreccia le trentasei storie. È un mito che spariglia le carte e ci restituisce l'amore nella sua schiettezza, lontano dai due poli ingannevoli dell'amore romantico e dell'amore cinico».

Che cosa dice dell'amore?

«In quella storia, il primo giorno di nozze non è felice: Orfeo insegue eroticamente Euridice, ma lei viene morsa al tallone da un serpente. Lui la perde e deve affrontare la domanda che tocca a ogni amante: sei disposto a inoltrarti nei meandri della morte per salvare questo amore? Che poi è la domanda iniziale: l'amore salva?».

Salva?

«Non ho una risposta secca. Direi che salva solo se si è disposti a incontrare un paradosso e si accetta di perdersi, che non è annullarsi: è donare la propria identità a qualcun altro, affermandosi. E questo vale in tutte le relazioni».

La accusano di essere uno da «buoni sentimenti». Questo libro è da super-sentimenti.

«E che problema c'è. L'importante per me è indagare tutto il ventaglio, dal disamore - sacrifico l'altro per me - all'amore - sacrifico me stesso, per consentire all'altro di vivere - passando attraverso tutte le gradazioni nel mezzo».

Che cos'è l'intelligenza del cuore?

«Un regalo di mia madre: ci ha educati a non separare mai la testa dal cuore. Il divorzio genera teste calde e cuori freddi. È l'intelligenza che sa dare ragione dei sentimenti; se no davvero sono effimeri».

È un libro al femminile?

«Sì, ma un femminile che aiuta a definire il maschile. Nella relazione col mondo la donna ha la specificità del dare la vita, indipendentemente dal fatto di essere madre: in tutte le culture la Musa è femmina, perché l'uomo non ha il grembo e per creare c'è bisogno di un grembo. Se poi questa donna in carne e ossa entra in una relazione dove c'è già una Musa, il triangolo è esplosivo».

Il maschile come si definisce?

«Dovrebbe essere una forza gentile, ma in questi tempi è un po' confuso. Oscilla fra impotenza e prepotenza, due poli che spesso si toccano».

Molte delle donne che racconta si sono dedicate completamente ai loro uomini.

«Sì. Volevo tirare giù dall'iperuranio idealizzato questi artisti, che erano dei gran bastardi e si sono serviti di queste muse in carne e ossa. Donne come Veza Canetti, Anna Magdalena Bach hanno avuto una dedizione totale. Oppure Olga, a cui lo stesso Ezra Pound riconobbe il coraggio che lui non aveva. O Alma Hitchcock: Psycho è il frutto del suo genio, lui era disperato perché i produttori non volevano più fare il film».

E poi?

«Lei lo tranquillizzò ed ebbe l'idea della musica nella scena della doccia. Al discorso per il premio alla carriera dell'American Film Institute, Hitchcock ringraziò quattro persone, ed erano tutte Alma».

Una storia che ama in particolare?

«Quella di Nadezda, la moglie di Osip Mandel'stam. L'amore come custodia dei destini dell'altro. Nadezda impara a memoria le sue poesie, destinate a essere distrutte dal regime comunista: e così salva carta e carne del marito».

C'è anche una storia quasi perfetta, quella di Tolkien e sua moglie Edith Bratt.

«Perfetta, ma frutto di una battaglia di una vita intera. Nei miei genitori, che hanno appena festeggiato 52 anni di matrimonio, vedo qualcosa di simile: quando c'è da litigare lo fanno subito; però è un continuo ridonarsi all'altro, avendo definito sé stessi sempre meglio nel tempo».

Porterà anche questo libro a teatro?

«Sì. Con Gabriele Vacis siamo al lavoro per preparare una narrazione: non sono un uomo di teatro ma amo narrare storie, il cunto della mia terra, all'infinito, con l'idea che questo raccontare possa fermare la morte, come nelle Mille e una notte. L'amore ha in comune questo con la narrazione, che ferma il tempo. E credo che tutto questo abbia a che fare con la nostra salvezza».

È il romanzo dei 40

anni?

«Li ho compiuti a maggio. Con il libro su Leopardi, questo è il bilancio di che cosa buttare a mare quando affronti la tempesta, per rimanere con l'essenziale: ciò che non può mancare a bordo, per tornare a casa».

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