Per la vulgata contemporanea sono la radice del male dell'Occidente. Le più irrazionali delle guerre, figlie del furore religioso medievale. Una sorta di colpa primigenia che, in parte, scusa l'attuale furore religioso islamico. Stiamo ovviamente parlando delle Crociate, una lunga serie di campagne militari, riuscite e abortite, per conquistare la Terra santa iniziate nel 1095. Nella visione tradizionale degli storici, a farla da padrona in queste guerre «sante» sarebbe la credulità popolare. Scriveva ad esempio, negli anni venti, uno storico di vaglia come Ernest Barker: «Uomini che seguivano la colonna di nube e di fuoco e nutrivano l'assoluta certezza e la speranza dell'eterna ricompensa».
Però, forse, dietro a questo stereotipo si nasconde qualcosa di diverso. Per rendersene conto conviene sfogliare il nuovo e ponderoso saggio del medievista di Oxford Christopher Tyerman. Si intitola Come organizzare una crociata (Utet, pagg. 540, euro 26) e sviscera in ogni dettaglio l'organizzazione di queste campagne militari. Il suo assunto di partenza, piuttosto razionalista, è chiaro: senza una precisa e oliatissima macchina bellica e amministrativa nessuna spedizione sarebbe mai riuscita a lasciare i porti italiani. Forse nemmeno a raggiungerli. E per dimostrarlo parte dai dettagli, quelli che nei libri spesso nemmeno compaiono. Qualche esempio? Nel 1190 Riccardo I d'Inghilterra era alle prese con l'organizzazione della terza crociata. Dovette procurarsi cento navi. Sulle medesime caricare 5mila cavalli. Per ogni animale erano necessari dodici ferri di scorta. Qualcuno dovette procurarseli. E visto che pesavano 350 grammi ciascuno calcolare che, da soli, rappresentavano 21 tonnellate di carico aggiuntivo. Questo per non parlare della necessità di fornirsi di mappe, reclutare interpreti, trovare i soldi per pagare i pochi artigiani capaci di costruire torri d'assedio, riuscire a mettere d'accordo il sacro (preti autorizzati ad accompagnare i crociati) e il profano (la necessità di aggregare prostitute al contingente)...
Insomma, in poche pagine Tyerman vi dimostrerà in maniera inattaccabile che verso la Palestina non è mai partita nessuna «armata Brancaleone». Anzi, le Crociate hanno rappresentato un momento fondamentale nello sviluppo della società europea proprio per l'incredibile sforzo organizzativo che le hanno richiesto. A prescindere dal concetto di guerra giusta - come ogni storico Tyerman sa che non esiste governante che non ne abbia abusato - il primo grande mutamento prodotto dall'iniziativa di Papa Urbano II di bandire la crociata fu quello di dar vita a una gigantesca macchina di propaganda. Una infinità di reclutatori iniziò ad aggirarsi per l'Europa. Creando un vero e proprio modello di discorso pubblico. Vennero addirittura scritti dei manuali dedicati al convincimento dei futuri crociati. Capolavori di retorica in cui largo spazio era dedicato a come convincere le mogli a lasciar partire i mariti, il che smonta il luogo comune delle donne medievali sottomesse.
Questi reclutamenti, spiega Tyerman, si rivelavano particolarmente efficaci non nel mobilitare il popolino, quanto piuttosto una composita upper class europea. Dal piccolo mercante, al ricco proprietario terriero non nobile sino al principe, passando per il cavaliere abile con la spada ma scarso di finanze. Ecco chi veniva coinvolto nella propaganda. Nasceva con le crociate un ascensore sociale che favoriva rapide ascese e una rottura degli schemi consolidati del mondo feudale. Si poteva partire per Acri mercanti e tornare in Europa cavalieri e legati a filo doppio ad un principe. Certo, si poteva anche non tornare affatto. Sia diventando un mucchio d'ossa nel deserto, sia diventando un piccolo signore feudale del Regno di Gerusalemme.
Anche la diffusione della moneta deve molto alle Crociate. Queste costosissime spedizioni potevano essere portate avanti solo monetizzando l'economia. Per combattere il Saladino feudi e terre furono impegnati e trasformati in fiorini o sterline. Attraverso le Crociate si passò dall'idea del cavaliere legato a un feudo a quella di un soldato d'élite, ma stipendiato in moneta.
Insomma per usare le parole di Tyerman: «Le Crociate possono essere liquidate come manifestazioni di prepotenza... e nella maggior parte dei teatri in cui si svolsero, in fin dei conti imprese effimere.
Ma possono anche essere raccontate come prodotti di una società che cresceva in benessere e certezze culturali». Quel che è certo è che costrinsero gli europei a sviluppare una capacità progettuale del tutto nuova. Una progettualità per la prima volta continentale.
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