Paolo Giordano
nostro inviato a Verona
Antefatto. Zucchero sta facendo le ultime prove prima che l'Arena apra le porte al pubblico. Pam Davis e i suoi amici in vacanza dalle Hawaii si fermano ad ascoltare qualche brano poi corrono a comprare gli ultimi biglietti in vendita: «Non capiamo cosa dice, ma il suono è un grande suono», dicono con una birra in mano. Oplà. «È il tour più bello della mia vita, non a caso l'hanno già premiato come il miglior tour europeo del 2016», spiega Zucchero poco dopo prima di salire sul palco e iniziare il primo dei dieci concerti del 2017 (5 adesso, altri 5 dal 21 al 25 settembre per un totale di 21 in un anno, praticamente un record). Grande band, con uno stellare Brian Auger all'Hammond. E repertorio così potente da convincere a ballare sotto la pioggia persino gli ultrasessantenni in platea. «Rispetto all'anno scorso canterò brani minori del mio passato, come Senza rimorso, I tempi cambieranno oppure Un'orgia di anime perse e Arcord con la voce di Augusto Daolio dei Nomadi». Risultato: quasi tre ore di musica suonata come poche. E una conferma: questa è la dimensione ideale del nuovo Zucchero, sempre più distante dal brano tormentone e più vicino a una ricerca stilistica che ormai è sempre più rara (infatti convince persino chi non lo conosceva ed è cresciuto ascoltando rock alle Hawaii...).
Però, caro Zucchero, in generale la musica sembra destinata a passare sempre più in secondo piano.
«Se continua così, i dischi spariranno. Ma io, se voglio continuare a essere serio con me stesso, devo continuare a scrivere e suonare come piace a me».
Magari si torna agli anni Sessanta, quando gli artisti pubblicavano 33 giri solo per riunire i 45 registrati in precedenza.
«Può essere. Però è certo che oggi funziona di più comunicare che suonare. E non ce l'ho con i talent show, nonostante producano cantanti tutti uguali. Prima si suonava, ora la musica è l'ultima ruota del carro e, per riempire gli stadi, basta comunicare bene«.
Ce l'ha con il rap?
«No, anzi: trovo più rivoluzionari certi testi rap rispetto a quelli di tanti rocker annacquati».
Ma lei ospiterebbe un rapper in un suo disco?
«E a far cosa?» (sorride - ndr)
E quindi?
«Quindi ci vogliono più badili e meno chitarre, più gente che si occupi d'altro e non faccia musica».
In scaletta ha aggiunto brani che non canta quasi mai. Ci sono brani che invece ha tolto perché non ha più voglia di cantare?
«Beh, Il grande baboomba è stato un successo ma non lo eseguo più. Idem con Donne con questo dudu che non riesco più a sopportare. Se un brano mi sta sulle pa..., non lo suono più e basta».
Sembra quasi che si voglia liberare delle zavorre.
«Più invecchi e più hai voglia di ritornare alle radici. Le mie sono quelle del piccolo mondo di Guareschi, che ho cantato anche in Chocabeck. Rivedo spesso i film di quel periodo, talvolta penso che addirittura che mi sarebbe piaciuto avere e crescere un figlio proprio a Brescello. Anche di questo parliamo spesso nelle mie serate con Francesco Guccini».
Quali?
«Ci vediamo spesso, trascorriamo ore a parlare e ad ascoltare musica con Flaco Biondini. Sono serate stupende, lui è come se fosse il mio maestro di vita. In fondo, da ragazzo volevo essere Guccini, poi mi sono innamorato del blues e del soul. Però non mi dispiacerebbe un giorno cantare le sue canzoni».
Un disco di cover?
«Chissà. In ogni caso sceglierei brani non famosissimi ma per me significativi».
Nel frattempo continua il suo ennesimo tour mondiale.
«Si impara molto, non solo dal punto di vista musicale. In giro per gli States, da Savannah a Lafayette, ho conosciuto musicisti straordinari. E ho parlato con la gente. Prima delle elezioni, su venti persone, almeno 18 mi avevano garantito il voto per Trump. La sua elezione per me non è stata una sorpresa ma mi fa pensare che gli americani ora abbiano bisogno di un uomo forte. Poi in tour si fanno anche incontri speciali».
Ad esempio?
«Una sera a Los Angeles ero in un ristorante ed è arrivato Mick Jagger. Era lì per scrivere alcune canzoni. Abbiamo anche scherzato su Keith Richards: Io sono il cantante dei Rolling Stones, lui è soltanto il chitarrista».
Per qualcuno sono soltanto l'emblema del passato.
«Sì. Però se mi metto nei panni di un ragazzino che ama la musica mi viene una battuta volgare ma significativa: meglio un passato di verdura che un futuro di m...».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.