Alberto Sironi, regista da sempre del Commissario Montalbano, a stappare bottiglie ai piani alti di viale Mazzini è abituato. Ma stavolta...
«Stavolta per brindare ci sarebbe voluta una cassa intera. Dico la verità: è un trionfo che ha sbalordito me per primo. Non mi darò le consuete spiegazioni (la scrittura di Camilleri, la fattura, l'interpretazione); preferisco osservare che ormai Montalbano è un classico. Di più: un brand. Un'icona. E aggiungo un dettaglio, generalmente trascurato, ma che ha invece il suo peso. Ne facciamo solo due l'anno».
In questi ricorrenti festeggiamenti c'è mai qualcuno che si accaparra meriti? O che dica «Io l'avevo detto»?
«I primi brindisi somigliavano più a congratulazioni per lo scampato pericolo. Allora si temeva che Montalbano fosse un prodotto di nicchia, con l'uso della lingua siciliana. Oggi si è capito che quando raccontiamo di cose nostre, e lo facciamo al meglio, non dobbiamo prendere lezioni da nessuno».
Al punto che potete ripetere gli stessi racconti più volte, senza che la gente si stanchi di ascoltarli.
«Le repliche hanno quasi gli stessi ascolti degli originali perché Montalbano non è un racconto realistico. E' una favola. Con risvolti neri. Si innalza al livello del mito. Così la prima volta ti piace, ma la seconda anche di più, perché ne noti i dettagli».
Sapeva che per sottrarsi al confronto, L'isola dei famosi ha battuto in ritirata dal lunedì al martedi?
«Non lo sapevo. Ma lo trovo perfettamente logico. La battaglia degli ascolti impone strategie drastiche».
Tuttavia qualcuno rimprovera alla sua regia dei ritmi troppo larghi. E qualche scena un po' troppo cruda.
«Anche i tempi larghi sono ritmo. E quello è il ritmo dello stesso commissario: è il suo sguardo, colmo di ironia e insieme di pietas, che riflette sul male. Male che non può essere che crudo».
Fin quando proseguiranno i festeggiamenti?
«Fino a marzo, quando torneremo in Sicilia per i nuovi sopralluoghi e i provini...»
Un giorno gli ascolti potrebbero anche avere una flessione.
Non solo: prima o poi dovremo chiudere. Ma finché Camilleri continuerà a scrivere noi andremo avanti...»
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